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Le pareti interne dello stretto vano nel quale ero rinchiuso fino a poco prima di riprendere coscienza erano ricoperte di piccole goccioline di liquido azzurro, piccole perle aggrappate alla superficie di resina della quale era rivestito l’interno. Probabilmente si trattava dello stesso liquido bluastro che avevo espulso dalla gola poco prima, un colpo di tosse dopo l’altro. Il pavimento ne era ancora cosparso. Lo spazio lì dentro era angusto. Cercai di immaginare il modo nel quale potevo essere stato stipato lì dentro per un tempo abbastanza lungo da far evaporare ogni mio ricordo. C’era spazio appena sufficiente a contenermi rimanendo in piedi, eppure non c’era dubbio che fossi rimasto incosciente e immobile, rinchiuso in quel cubicolo come una bambola di plastica nella sua scatola, sospeso in un sonno profondissimo. Per quanto tempo, non l’avrei potuto dire. Dieci giorni o dieci anni… o forse dieci secoli. Se si trattava di un qualche tipo di avveniristica capsula criogenica, o di una camera di stasi, avrei potuto rimanere in iper-sonno per tutto il tempo in cui fosse stata alimentata. 

Mi resi conto di aver fatto di nuovo affidamento, nei miei ragionamenti, su conoscenze che non sospettavo di possedere. Sapevo cosa fosse una capsula criogenica, quindi, almeno in linea generale. Stabilii molto arbitrariamente di aver vissuto nel XXI secolo, anche se non avrei saputo definire con certezza l’anno. Il mio quotidiano era ancora confuso, disperso, faticoso da recuperare. Nemmeno quelli che avrebbero dovuto essere momenti importanti della mia vita riuscivano ad emergere dal marasma delle memorie. Che lavoro facessi, la mia ragazza, se fossi padre o se avessi una famiglia. Nulla.

Mi sporsi all’interno del vano metallico, in cerca di qualcosa, qualsiasi cosa che potesse darmi delle risposte, o anche solo aiutarmi a ricordare. A parte un odore acre e alcuni cavi sparsi sul pavimento, non c’era nulla lì dentro. Nulla di utile.

Eppure qualcosa doveva esserci, che mi fornisse una spiegazione di cosa stava accadendo. Afferrai l’anta dell’armadietto e la richiusi. Notai una serie di caratteri incisi al centro del pannello metallico. Una lingua sconosciuta, che non riuscivo a comprendere. Sapevo leggere? Sapevo scrivere? Domande, solo domande. Nessuna risposta. Decisi, visto che ero già lì, di dare un’occhiata agli altri vani.

Mi avvicinai al primo. ➤ 60

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