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I.

Come fanno un po’ tutti i bambini di dieci anni, anche io mi fermavo spesso ad osservare mia madre o mio padre mentre erano presi da altri compiti, come scrivere al computer o chiudere la spazzatura. Non c’era un vero motivo per il quale mi capitava di farlo. Spesso correvo nella stanza, con un astronave di lego appena assemblata, e mi imbattevo in loro che spendevano il loro tempo nei modi più disparati. Mio padre non si alzava spesso dalla comoda poltrona del salotto, e passava molto tempo davanti alla televisione oppure davanti allo schermo del suo portatile, con la conseguenza (per me e mia madre ovvia) che la sua vista fosse calata drasticamente negli ultimi dieci anni, costringendolo a comprare degli occhiali da riposo muniti di spesse lenti concave che gli facevano gli occhi minuscoli. Mia madre non era una che perdeva troppo tempo nelle faccende di casa: c’era un robottino aspiratutto che passava la ramazza per lei e all’occorrenza anche lo straccio. Cucinava poco e solo piatti veloci. Spolverava e faceva la lavatrice sporadicamente, solo quando mio padre si dimenticava di fare certe cose e si accumulavano due dita di polvere sulle mensole e chili di panni sporchi nella cesta in bagno. Altre faccende toccavano sempre a mio padre oppure all’anziana signora delle pulizie che dal piano terra del condominio saliva fino al secondo piano per dare una mano alla mia famiglia. Era in quelle occasioni che le piante venivano annaffiate e i panni stesi ritirati dagli stendini.

Un giovedì avevo terminato la costruzione di un potentissimo caccia stellare, e mi apprestavo a fargli percorrere in volo il corridoio, giù fino alla camera di mia sorella (dove non entravo mai) per poi tornare indietro e atterrare magari in cucina. Mentre zampettavo in corridoio con il caccia stellare in mano, intravidi Gelsomina, la signora delle pulizie, china sul divano dove mio padre era solito trascorrere i pomeriggi. Con poderosi schiaffoni cercava disperatamente di far riprendere la forma originale ai cuscini, ormai deformati da anni di utilizzo. PAM PAM. Gli schiaffoni rumoreggiavano in casa e il pilota del mio caccia stellare non poté fare a meno di notarli.

«Rilevo delle propagazioni sonore insolite! Vado a indagare.» Comunicò alla base.

All’epoca ero troppo piccolo per sapere che il suono non si propaga nello spazio perché non c’è aria, tutto quel che sapevo l’avevo visto nei film di fantascienza cazzari dei quali mi ero visivamente nutrito negli ultimi anni, quindi udire PAM PAM nello spazio, per me, era plausibile.

L’astronave di Capitan Patrizio si piegò da un lato virando verso quei rumori sinistri. Di nuovo: non aveva alcun senso che un’astronave si “piegasse” nello spazio. Però valeva lo stesso discorso fatto poc’anzi sul suono nello spazio: film di fantascienza cazzari. Entrai in salotto, quindi. Si trattava di una deviazione dalla rotta stabilita. Se fosse successo qualcosa a Capitan Patrizio, la base non avrebbe saputo con certezza dove recuperare i resti dell’astronave e il suo corpo. Ma a Capitan Patrizio non importava: la sua missione si sarebbe risolta rapidamente e con successo, quindi sarebbe tornato sulla sua rotta precedente (il corridoio) per proseguire come stabilito dai suoi piani originali. L’anziana signora Gelsomina non si accorse del mio ingresso in salotto e continuò a rassettare il divano mentre io le gironzolavo alle spalle con l’astronave di Capitan Patrizio ben alta sopra la testa. Ruotai la nave in ogni direzione, facendole compiere acrobazie che non aveva alcun senso compiere. In questo modo però la telecamera (cioè i miei occhi) poterono inquadrare da ogni angolazione lo splendido caccia stellare che si stava per avventurare in direzione dei rumori sinistri.

Fu allora che i rumori sinistri mutarono, trasformandosi in qualcosa di ancora più sinistro. Un masticare e un biascicare piuttosto sommesso, che non avrei notato se per caso la rotta di Capitan Patrizio non mi avesse condotto in salotto. Mi fermai e restai immobile alle spalle dell’anziana signora, ancora china sui cuscini deformati del divano. Abbassai lentamente il braccio che reggeva astronave e allungai il collo, per capire da dove provenissero quei rumori. D’improvviso avevo perso ogni interesse per il mirabolante caccia stellare di Capitan Patrizio, la telecamera si muoveva lentamente in cerca di qualcosa di più interessante. Ma nemmeno io, che di fantasia a dieci anni ne avevo già moltissima, immaginavo in quel momento che potesse essere tanto interessante: la signora Gelsomina, china sui cuscini del divano, stava raccogliendo briciole di polvere, sporcizia e capelli dagli interstizi tra un cuscino e l’altro. Con avidità, stringendo quei grumi di sporcizia tra le dita, se li portava alla bocca e li mangiava. Ero disgustato e al tempo stesso pietrificato dalla paura. Quello che vidi per un attimo, subito dopo, mi terrorizzò ancora di più: sporgendosi dalle labbra grinzose della signora Gelsomina, un braccio minuscolo, nero e provvisto di quattro dita artigliate afferrava il grumo di pelle e capelli e poi si ritirava all’interno della bocca della donna. Qualcosa nella sua bocca si stava nutrendo della sporcizia accumulatasi tra i cuscini.

Indietreggiai lentamente, non riuscivo nemmeno a deglutire. In un naturale esercizio della mia empatia, percepivo anche io in bocca il sapore della polvere e dello sporco, ma ancora di più sentivo il sapore di qualcosa che viveva nella mia gola e che attendeva di essere nutrito. Cos’era quel mostro? Che ci faceva nella bocca della signora Gelsomina? Mia madre lo sapeva? Suo marito, il vecchio Alcide, lo sapeva? I figli di Gelsomina e Alcide, che talvolta nei weekend venivano a trovarli, lo sapevano? Corsi fuori dalla stanza, sconvolto. Non riuscivo a pensare ad altro che a quella minuscola mano con quattro dita e lunghi artigli scuri, al modo in cui afferrava i capelli dalle dita della signora. Velocemente.

«Patrizio? Eri tu?» Mi domandò Gelsomina alzando la voce, accorgendosi che ero appena corso via dal salotto.

«Sì… scusa… non avevo visto che stavi pulendo il divano.» Risposi. Non so da dove provenissero le parole. Mi gettai sul letto della camera premendo la faccia contro il cuscino. Lasciai cadere il caccia a terra. Mi voltai di scatto al pensiero che Gelsomina potesse essere entrata in camera per controllare dove fossi, ma la porta dalla camera dava su ancora su un corridoio vuoto e rumori di pulizie continuavano a provenire dal salotto e dal divano, schiaffeggiato con forza. PAM PAM. PAM PAM.

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Comments

Minderbinder

Wow. Ma hai mai pensato a una partnership con Buccinella?

Bigio

Per ora io e Federico Guerri ci limitiamo a comprarci i libri a vicenda ahahah