Home Artists Posts Import Register
Join the new SimpleX Chat Group!

Content

«Stia indietro, signorina.» Le intimò l’agente Philip mentre si avvicinava al corpo di Ted. O di quello che ne restava. L’altro agente, Noam, si aggirava nei pressi dell’ingresso del prefabbricato, puntando la pistola in ogni direzione, non appena un rumore proveniente dalla foresta lo allarmava. E siccome veniva allarmato spesso, Loredana decise si abbassarsi fino quasi a sedersi a terra, e mettere le mani sulla testa, come se qualcuno la stesse per giustiziare.

«Cosa l’ha ridotto così?» Chiedeva a voce alta l’agente Philip. Con un piede stava saggiando la consistenza del corpo di Ted, orribilmente rinsecchito, ridotto in pratica a un cartoccio di foglie che si sbriciolavano al tocco. Né Loredana né il suo collega Noam risposero. Non avrebbero saputo cosa rispondere, d’altronde.

«Questo sarà un bel cazzo su per il culo della scientifica.» Ridacchiò Philip, che a quel punto notò il comportamento di Noam. «Ehi, che cazzo fai? Abbassa la pistola oppure puntala in alto! …non ti hanno insegnato niente, in caserma?»

Noam annuì, e piegò il gomito puntando la canna della pistola verso i rami degli alberi che si stendevano sopra di lui, coprendo il cielo. Loredana a quel punto si alzò da terra, ma tenne le mani dietro la nuca e non riuscì a sostituire l’espressione terrorizzata.

«Ha visto? Abbiamo fatto bene a seguirla. – Tentò di rassicurarla Philip. – Sapevo che il suo show alla centrale non poteva essere solo un’attacco di isteria.»

Loredana avrebbe voluto ribattere in qualche modo, soprattutto riguardo all’attacco di “isteria”, ma lasciò correre. Tanto più che Noam cominciò a parlare con se stesso, ad alta voce, forse per darsi coraggio, e Loredana finì per interessarsi al discorso.

«Qui ci fu una battaglia… all’inizio del XX secolo… – Farfugliava Noam, sudando copiosamente, per il caldo e per il nervosismo. – Inglesi… e la gente che viveva nei pressi della foresta… la vittoria fu decisa a colpi di machete. Le radici di questi alberi… di tutto il bosco… sono state bagnate dal sangue… da molto sangue… l’acqua della palude non permette al sangue di asciugarsi… di seccarsi… dopo tanti anni il sangue è ancora fresco. Capite cosa vuol dire? Sangue nelle radici… sangue nei tronchi… sangue nei rami… sangue nei fiori…»

«…sangue nei frutti.» Concluse Loredana, mormorando.

«Sangue ovunque.» Sottolineò Noam. Poi si passò la mano sulla testa, asciugando il sudore. Dal fogliame provennero scricchiolii e fruscii sinistri. Poi il grido distante di una scimmia. Un grosso uccello nero volò via dall’albero più vicino spingendosi oltre il tetto del laboratorio, in alto.

«Sei troppo agitato, Noam. – Suggerì Philip. – Metti via la pistola. Rischi di spararci per errore.» Noam annuì piegando leggermente il capo, quindi rinfoderò la pistola. Philip invece stringeva la sua con entrambe le mani, puntandola in basso con le braccia distese.

«Entro prima io. – Disse Philip. – Mi dirigo verso la serra, il laboratorio centrale. È sempre dritto, giusto?»

«Sempre dritto.» Confermò Loredana. Ma c’era una piantina affissa sul muro vicino alla porta che indicava la disposizione di tutte le stanze, non ci sarebbe stato bisogno di confermare. Philip si mosse fino alla porta a vetri, sporca di fango come se qualcuno avesse voluto imbrattarla di proposito, e la aprì cercando di non fare rumore. Si voltò un’ultima volta verso Noam e Loredana, quindi scivolò all’interno.

Noam attese che la porta, sospinta indietro da un soffietto, si richiudesse dolcemente, quindi indietreggiò verso Loredana.

«Cosa deve affrontare?» Le domandò.

«Non lo so… – Disse lei. – Forse è solo entrato un animale… e ha rovesciato dei campioni. Una scimmia o un grosso cane.»

«Un cane non riduce la gente in quel modo.» Noam indicò il corpo di Ted.

«Non so cosa abbia ridotto Ted in quel modo… mio Dio… ma potrebbe essersi esposto a qualche diserbante tossico… o a qualche altra sostanza… che non c’entra nulla con l’animale che ha rovistato nei campioni.»

Avrebbe potuto essere vero, ma Loredana sapeva benissimo cosa ci fosse in tutti i flaconi di plastica, le taniche e in tutte le bottiglie di vetro presenti in laboratorio. Niente avrebbe potuto ridurre Ted in quello stato. Tutto quello che era rimasto di lui era… un mucchio di erba secca. Ma mentì lo stesso, inventò qualcosa. Le sembrava una buona cosa calmare l’agente di polizia che le era rimasto vicino in quel momento. Loredana li aveva visti spuntare entrambi dalla boscaglia quando non appena era scesa dal quad, e temeva che si trattasse di due briganti. Oh, quanto sarebbe stato meglio se i due si fossero presentati come ladri anziché come poliziotti. Avrebbero potuto prendersi la responsabilità di tutte le stranezze che Loredana aveva notato, finanche della morte di Ted. Invece, nonostante il timore iniziale, l’avevano rassicurata dicendole di averla seguita. Che erano due agenti e che temevano per la sua incolumità. Non erano qui in veste ufficiale, nessuno li aveva assegnati a un caso o qualcosa del genere, semplicemente avevano pensato che non sarebbe stato sicuro, per lei, rientrare presso la struttura dove aveva raccontato di aver visto morire un collega. Che fosse vero o meno. Ed era vero.

«Cosa sono questi rumori?» Le chiesi Noam. Loredana si era distratta, ma quando tese l’orecchio si accorse che in effetti dall’interno del prefabbricato provenivano strani suoni, come di oggetti che si frantumavano. Poi udirono chiaramente uno sparo. Due. Tre spari. Altri rumori. Quattro, cinque e sei spari. Loredana si chiese quanti… sette spari. Otto. Grida di orrore. Noam reagì nel peggior modo possibile, ovvero gridando anche lui. Fuggì nel bosco, in direzione della città, che però distava quasi dieci chilometri.

«Noam!» Lo chiamo Loredana. Ma l’agente era in preda al panico. Forse più tardi, ripresosi dallo shock e dal terrore, avrebbe ragionato meglio e sarebbe tornato indietro. Ammesso che riuscisse a trovare la strada.

La porta della struttura si aprì verso l’esterno, cigolando in modo sinistro. La stava spingendo una creatura che non aveva nulla di umano, fuorché la postura e la posizione delle articolazioni. Sembrava completamente composta di fango, mucillagine ed erba marcescente. Barcollò fuori, ciondolando come farebbe un uomo completamente ubriaco. Aveva due gambe cosparse di filamenti appiccicosi, ma non riusciva a farne buon uso. Si piegò in avanti e fu costretta ad appoggiarsi a terra con una delle braccia, anch’essa composta di erba marcia e fanghiglia. Fu allora che ruotò la testa, e Loredana si rese conto che il bulbo posizionato in mezzo alle spalle di quella creatura rivoltante non era altro che uno dei frutti dell’albero rinvenuto dal professor Sherman e dalla dottoressa Lawrence. Il frutto, deforme e sfatto, cercava di restare in bilico in cima al corpo bitorzoluto e nodoso del mostro di vegetali putrescenti che inutilmente mimava un corpo umano.

Loredana non gridò perché le sembrò inutile farlo, ma in primis perché era sconvolta da quella vista. Si guardò attorno alla ricerca di qualcosa con cui difendersi e non trovo nulla di meglio che un ramo. Lo strappò via dal terriccio morbido e lo brandì come un randello. L’essere non sembrò nemmeno farci caso, continuò ad arrancare fuori dalla porta, spostandosi con andatura incerta verso di lei.

«Sei tu che hai ucciso Ted? Sei stato tu?» Domandò Loredana, con voce stridula, quasi gridando. Ma la creatura non rispose, mosse invece altri due passi verso di lei.

«E il poliziotto? Hai ucciso anche lui?» Ma niente risposte, a parte scricchiolii di rami e gorgoglii di fango rimestato. Era inutile. Quel mostro non le avrebbe risposto. Forse non aveva nemmeno le capacità per farlo. Quale poteva essere il suo sistema nervoso, d’altronde? Aveva un frutto marcio al posto della testa. Certo, era un frutto che riproduceva grottescamente una testa umana, ma era pur sempre un vegetale privo di cervello. Per quanto potesse aver sviluppato la capacità di controllare viticci e arbusti fino a ricostruire una parvenza di corpo umano, Loredana si rifiutava di considerarlo un essere vivente. Era solo un orribile ammasso di materia marcia e maleodorante. La colpì con il bastone, e l’effetto fu quello di una mazza su una pignatta di cartapesta: la testa, cioè il frutto, si spappolò in mille frammenti e la poltiglia si disperse ovunque. La creatura stramazzò ai suoi piedi e restò immobile. Loredana indietreggiò. Non era stato così difficile, sbarazzarsene. Come mai l’agente Philip non ci era riuscito? Forse perché l’aveva crivellata di proiettili in corpo senza mirare alla testa? Piuttosto stupido, da parte sua. Loredana corse dentro. Aveva bisogno di accertarsi delle condizioni dell’agente.

«Agente Philip?» Chiamò. Nessuno rispose. Chiamò ancora. Silenzio. Fu all0ra che dal buio nel quale era immerso il corridoio alla sua destra, si protese in avanti un’altra di quelle creature. Il mostro era del tutto simile al precedente: un groviglio di viticci, sterpi, erba putrida e fango, tenuto in piedi dal torcersi delle piante che lo componevano. In cima c’era un altro di quei frutti, un altra raccapricciante rivisitazione in chiave vegetale di una testa umana, con fosse oculari, mandibola slogata e umori giallastri che colavano via da ogni spaccatura della pelle tesa, come avrebbe fatto la densa polpa di un cachi aperto a coltellate. Loredana presagì la propria morte, si vide già coperta di fango e rinsecchita come foglie di tabacco essiccate al sole. Non voleva fare quella fine. Scartò di lato e l’essere, balzando avanti, perse l’equilibrio. Girò su se stesso emettendo un grugnito, poi crollò a terra. Senza pensarci due volte, Loredana colpì quel volto gonfio e disgustoso con il tacco della propria scarpa, spiaccicandolo sul pavimento. Esplosa la testa, il resto del corpo non si mosse.

«Ah, è così, quindi.» Mormorò fra sé e sé. Strinse in pugno il ramo e aprì la porta del laboratorio. Il corpo dell’agente Philip giaceva a terra, pochi passi più avanti. La camicia azzurra era divenuta grigia e si era macchiata di muffe e chiazze nere. La sua pelle era marrone. Il suo corpo era stato disseccato. Quanti altri di quei frutti schifosi avevano riportato al laboratorio? Quattro? Cinque? …tra poco sarebbero stati: nessuno.

Mentre il sole calava, all’orizzonte, tra nuvole rosse e riverberi di luce giallastra sul mare, dalla struttura nella foresta si distinguevano solo rumori di percosse, vetri rotti e frutta sfranta. Chissà che delusione il professor Sherman e la dottoressa Lawrence, quando sarebbero tornati al campo base dalla loro conferenza in Europa. Purtroppo, a causa di non ben precisati problemi tecnici, tutti i loro preziosi campioni erano andati perduti.

E la serra, bruciata.

Files

Comments

Minderbinder

Bellissimo. Spero diventi una nuova serie =)

Claudio

ora mi aspetto il racconto dove torna Sherman che si incazza con Loredana e questa uccide pure lui XD