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Senza cedere alla tentazione di affrettarmi e lavorando con pazienza districai Veronica da tutti i cavi nei quali si era annodata, liberandola da quella intricata ragnatela di plastica. Mentre lavoravo sciogliendo i nodi e chiedendole di sfilare via gli arti man mano che l’intreccio si dissipava, di tanto incrociavo il suo sguardo, che si era intenerito e sembrava quello di un cucciolo al quale stavo togliendo una spina dalla zampa.

«Ci siamo quasi, quella luce è l’uscita da questo maledetto cunicolo!» Le dissi. Procedemmo con cautela, cercando di non finire di nuovo intrappolati nei cavi.


La luce in fondo al corridoio si dissolse in una nebbia luminosa che mi costrinse a socchiudere gli occhi. Poi la vista, gradualmente, si abituò ai raggi di sole che caldi mi investirono il volto. Non appena affiorai e riuscii a distinguere qualcosa nel mare luminoso, mi ritrovai a contemplare il bordo di un precipizio. Di fronte a me si estendeva un pozzo circolare largo almeno una cinquantina di metri, che scendeva verso profondità impossibili da sondare. Il pozzo era rivestito di metallo, il che faceva supporre che si trattasse di una struttura artificiale. Guardando in alto mi accorsi che non ero sbucato alla sommità dell’enorme scavo circolare, ma che non ero molto distante. Le pareti lucide del pozzo si innalzavano sopra di me per altri cinquanta metri al massimo, poi c’era il cielo.

Quando lo vidi, il mio cuore si riempì di gioia. Era il cielo vero! Azzurro, striato di nuvole bianche, appena screziato di rosa verso il basso, fin dove potevo spingere lo sguardo prima di incontrare il margine del pozzo. Da lì ne potevo scorgere solo una porzione circolare, ma già bramavo di poter allargare lo sguardo fino all’orizzonte e perdermi in quel celeste infinito. Sorrisi e inspirai a pieni polmoni. Era aria pulita, fresca e colma di ossigeno quella che stavo inalando: senza sostanze sintetiche che ne inquinassero l’odore.

Fu solo quando riaprii gli occhi che mi resi conto di qualcosa di bizzarro. Man mano che i miei occhi si adattavano alla luce, i dettagli divenivano percepibili. In cielo, chiare, splendevano due lune. No, erano tre. Una terza spuntava da una lato, distante rispetto alle altre due. Rimasi a bocca aperta. Non era la Terra, quella? Il colore del cielo corrispondeva. Il “sapore” dell’aria anche. Ma non il numero di lune. Cosa stava accadendo? Dov’ero realmente?

Mentre mille domande affioravano nella mia mentre, uno stridio mi costrinse a guardare in basso, e scorsi qualcosa di imponente che stava risalendo dall’oscurità. Se quello che avevo chiamato “pozzo” fosse stato l’interno di un colossale cannone, la massa che risaliva avrebbe potuto essere una palla metallica che veniva in quell’istante sparata verso il cielo. Ma sapevo che come ipotesi non poteva reggere: la massa enorme e lucida si muoveva verso l’alto a una velocità tutto sommato moderata. Indietreggiai di qualche passo, per evitare di essere travolto. La capsula mi oltrepassò e proseguì la sua risalita verso il cielo, fuoriuscendo dal pozzo e proseguendo verso l’alto. La vidi allargare delle ali e accedere dei propulsori che brillarono di un rosso cupo, bruciando chissà quale tipo di carburante. Quello sulla quale sommità mi ritrovavo non era un pozzo: era una pista di lancio verticale per quelle aeronavi a forma di capsula!

Cercai di raccogliere i miei pensieri. Mi guardai di lato. C’erano delle scale metalliche, a pioli, che risalivano lungo il pozzo. Avrei potuto raggiungerne una con un piccolo balzo, e poi procedere verso l’alto, fino alla sommità di quella struttura. Mi sembrava la cosa più sensata da fare, a quel punto.


Saltai verso la scala a pioli, e la risalii velocemente. ➤ 191

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Comments

Claudio

Ci sono 2/3 errori di battitura

Anonymous

è ovvio, ma solo per pro forma: 191