Home Artists Posts Import Register
Join the new SimpleX Chat Group!

Content

La sensazione era di un intenso bruciore, come se i suoi polmoni fossero in fiamme, a partire dagli alveoli più distanti fino ai bronchi. Roman si trascinò a fatica in cima alla collina. Ormai non era più in grado di alzarsi in piedi, le gambe non gli rispondevano, erano intorpidite, addormentate, e percepiva quello stesso torpore avvolgergli anche le dita e annebbiargli la testa. Spingendosi avanti con il torso raggiunse finalmente la sommità di quel dosso terroso. Gettò le mani avanti, cercando qualcosa con le dita ormai cieche, prive di sensibilità. Scostò alcune rocce e intravide un angolo della placca metallica che sapeva fosse lì. Notò lo scintillio metallico quasi impercettibile, il riflesso accecante del sole semi-soffocato da terriccio e muschio. Con le ultime forze strappò via erba e piccole zolle di terreno, continuando a scavare e nel contempo a pregare di non perdere i sensi proprio adesso, proprio quando era finalmente riuscito a trovare la piastra di rilascio del contenitore. Un “blip” acuto e inaspettato lo avvertì che con una delle sue dita lorde di terra doveva aver sfiorato un pulsante e innescato un comando. Il terreno vibrò e diverse rocce di fianco a lui rotolarono lungo il declivio erboso fino a valle, mentre un cilindro trasparente emergeva lentamente da un buco nel terreno. Era un cilindro di materiale lucido, probabilmente una qualche plastica trasparente, con dei simboli impressi a media altezza. Era alto due metri e ne misurava circa mezzo di diametro. Ad occhio, aveva una capienza di circa 1500 litri. In alto era sigillato con una serie di chiusure ermetiche, sulle quali con il tempo si erano aggrappate erbe e piante di vario tipo. La vista di Roman si faceva sempre più annebbiata. Non aveva tempo da perdere. Il cilindro aveva appena arrestato la sua ascesa, e adesso fluttuava con la base a pochi centimetri dal suolo, proprio in corrispondenza della fossa circolare dalla quale era emerso. Nonostante fosse stato sepolto nel terreno per tutti quei secoli, l’involucro era ancora traslucido e levigato, lasciando intravedere il contenuto all’interno di esso. All’apparenza, era completamente vuoto.

Roman distese il braccio, fino a raggiungere la pulsantiera analogica alla base del cilindro. Gli restava a malapena la forza di pigiare quei tasti. Alcune luci si accesero e iniziarono a lampeggiare. Roman non capiva, ma lesse “rilascio” in una antica lingua umana, nero su metallo, sopra una piccola switch lucida che si affrettò ad abbassare con un colpo di mano. Alcune valvole ruotarono, alcuni bocchettoni si aprirono. Dal cilindro cominciarono a fuoriuscire getti di aria gelida che si allargarono a raggiera tutto intorno, scuotendo il prato con la forma di un’onda e facendo condensare cristalli di brina sui fili d’erba, sulle foglie, sui ramoscelli e sulle sopracciglia di Roman. L’ultima cosa che Roman notò prima di perdere i sensi fu un piccolo insetto con il carapace nero e lucido che, investito dal getto di aria gelida, si ribaltò e morì, cadendo sulla schiena. “Mors tua, vita mea”, pensò Roman. E svenne.

Fu risvegliato dalle fastidiose braccia robotiche di un’unità di controllo e ripristino, o ConTrip come le chiamavano i lavoratori delle miniere. L’unità, un grosso robot fluttuante provvisto di due braccia meccaniche multi-funzione, gli stava premendo non molto delicatamente un respiratore sulla faccia. Roman lo afferrò con una mano e se lo sistemò sul volto prima che il ConTrip finisse per fratturargli il naso. Immediatamente il robot sembrò perdere interesse nell’umano, e si diresse verso il cilindro emerso dal terreno. Roman ruotò leggermente la testa e notò che dalle colline nei dintorni erano emersi molti altri cilindri. Probabilmente la procedura di rilascio che aveva attivato non riguardava un solo cilindro. Inavvertitamente, aveva aperto decine di essi. Tornò a fissare il cielo. La luce era fortissima e probabilmente, svenuto su quel prato, si era beccato una bella dose di ultravioletti. Avrebbe dovuto sottostare a mesi di procedure di ricostruzione genetica e di creme idratanti, ma alla fine se la sarebbe cavata. Se non avesse svuotato quel cilindro, sarebbe di certo morto soffocato. E nessuno se ne sarebbe accordo. Il suo corpo si sarebbe lentamente degradato lì, in cima a quella rotonda collina verde, la materia organica si sarebbe disfatta, il terreno lo avrebbe inghiottito e nessuno avrebbe più saputo nulla di lui, Roman Christoff, pilota di prima classe, precipitato su quel pianeta ostile a causa del fastidioso e improvviso impatto con un micro-meteorite, che aveva attraversato il suo veicolo da parte a parte come fosse stato di burro, costringendolo ad una manovra di atterraggio di fortuna. Purtroppo durante lo schianto aveva perso sia l’ossigeno personale che la sua riserva, e temeva che esaurita la riserva d’aria dell’abitacolo sarebbe morto lì, su quel pianeta inospitale. Ma poi i sensori avevano individuato dall’ossigeno stoccato in contenitori interrati. Un modo strano di conservare i gas atmosferici, mantenendoli a temperatura e pressione appena superiori a quelle necessarie alla liquefazione, ma comunque una speranza per Roman. La pressione là fuori era sopportabile (anzi, fin troppo leggera), la gravità perfetta. A causa del sottile strato atmosferico le radiazioni stellari erano letali, ma raggiungendo uno di quei cilindri e svuotandolo avrebbe sicuramente avuto molto più tempo per pensare a una soluzione, che poi si era presentata da sola: la procedura di rilascio aveva allertato un ConTrip che era giunto a controllare. Una bella fortuna, considerato che Roman non era riuscito a collegarsi con il cilindro in quanto aveva perso i sensi non riuscendo a trattenere il respiro, e che quindi l’aria era fuoriuscita completamente dal cilindro garantendogli al massimo una decina di boccate d’aria fresca prima di disperdersi. “Salvato da una ConTrip” pensò. Una storia da raccontare. Sapeva che quel pianeta era considerato una risorsa mineraria primaria per le colonie, e che era abitato da numerosi minatori che procedevano in-situ all’estrazione di minerali di vario tipo. Il ConTrip era programmato con sub-routine che gli imponevano di salvare la vita di eventuali umani in pericolo, anche se non era quella la sua funzione primaria. La sua funzione primaria era di assistere i minatori e aiutarli nel compimento del loro lavoro, soprattutto per quanto riguardava le operazioni più faticose e al di sopra delle forze di un umano. In quel momento il robot stava fluttuando attorno al cilindro vuoto. Emetteva suoni strani, come se stesse trasmettendo dati, probabilmente a lunga distanza.

«ConTrip, qual è il tuo identificativo?»
«Settantasette.» Rispose il ConTrip, senza muoversi né cessare di emettere altri suoni.
«Settantasette, – chiese Roman con voce rauca – perché conservate l’ossigeno in forma gassosa? È un metodo di stoccaggio dei gas inefficiente.»
Settantasette fluttuò nei pressi di Roman e lo aiutò ad alzarsi.
«Non sono cilindri di stoccaggio. Sono reperti.»
Roman non capì, ma siccome al ConTrip evidentemente sembrava di aver dato spiegazioni a sufficienza, si lasciò trasportare fino all’insediamento minerario più vicino, l’impianto di estrazione Pavel. Si trattava di una struttura di alluminio e acciaio che si ergeva ai margini di una fossa artificiale colossale, dalle profondità della quale venivano probabilmente estratte le materie prime che poi sarebbero state trasferite presso le colonie. I minatori che si muovevano in superficie erano provvisti di tute leggere che però comprendevano dei respiratori e degli occhiali schermanti. Il reparto medico dell’insediamento era gentile e si occuparono di Roman per diverse settimane, riparando il danno che il pilota aveva subito a causa delle radiazioni. Fu un grado di avvertire il comando, e i suoi superiori furono sollevati nel sapere che se l’era cavata: l’avevano dato per spacciato quando avevano perso i contatti, e non erano riusciti a ricostruire con precisione la traiettoria del suo veicolo dopo che era stato colpito, né a rintracciarne il segnale di soccorso (che non si era mai attivato, a causa dei danni subiti). In quei giorni, Roman ripeté la domanda che aveva posto al ConTrip Settantasette a diversi medici, assistenti e infermieri. Dopo circa una settimana, un minatore molto gentile di nome Joseph gli spiegò che i cilindri nei quali il sistema della sua nave aveva rilevato ossigeno erano in realtà delle “capsule del tempo”. Molti secoli prima, degli umani avevano incapsulato dei campioni di atmosfera e li avevano sepolti con l’intenzione di riaprirli dopo un millennio, in modo che nel futuro giungesse non solo un campione dell’esatta miscela d’aria del passato, ma anche pulviscolo atmosferico, spore, pollini, vapore acqueo e tutto quello di cui era composta l’atmosfera al tempo. In quella zona erano disseminate un centinaio di capsule del tempo, e Roman inavvertitamente ne aveva disseppellite e svuotate una decina
«Com’era?» Gli chiese il minatore.
«Com’era cosa?» Domandò perplesso Roman.
«L’aria. Com’era l’aria di questo pianeta sette secoli fa?»
Roman si fermò a riflettere. Non lo ricordava con esattezza. Era svenuto proprio mentre il cilindro si svuotava soffiandogli il proprio contenuto sulla faccia.
«Non lo ricordo. Ma… mi ha mantenuto in vita fino all’arrivo di quel ConTrip, quindi era sicuramente migliore di quell’irrespirabile miscuglio di gas inerti che avvolge il pianeta adesso.»
Il minatore aveva sorriso.
«Secoli fa, questo posto doveva essere splendido. Altrettanto inospitale, a questa latitudine… probabilmente c’erano ghiaccio e neve ovunque. Faceva decisamente freddo. Ma l’aria era respirabile, e più a sud vivevano milioni di specie viventi, non solo bacarozzi resistenti ai raggi ultravioletti.»
«E poi che è successo?»
«Siamo andati via. Abbiamo deciso di vivere altrove. Come un inquilino che affitta un appartamento, ci vive per un po’ di tempo e lo devasta senza remore, per poi andarne a impestare un altro. E nel caso di questo pianeta, hanno deciso che non valeva la pena ristrutturare le mura. L’hanno lasciato così. Morente.»
Poi Joseph parlò a Roman della sua famiglia, minatori da generazioni. Lui era nato su Io, ma aveva studiato su Calliope, e poi aveva seguito le orme del padre, diventando un minatore. Si guadagnava bene, e si andava in pensione presto. Così ci si poteva godere la vecchiaia in famiglia.
«Anche noi piloti andiamo in pensione presto.» Commentò Roman, senza pensarci troppo. Joseph tirò un sospiro pesante, poi salutò cortesemente e se ne andò. Roman non lo incontrò più per tutto il resto della sua convalescenza.

Files

Comments

Gnometra

Molto bello! Ora facciamo i correttori di bozze, dai! XD "Ormai on era più in grado di alzarsi in piedi"

Jumboa21

fratturarGli