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Giunsero all’improvviso, silenziosi, invisibili fino all’ultimo istante. Era una giornata luminosa, il sole splendeva alto nel cielo azzurro e terso, ma un vento leggero spirava da sud-ovest portando con sé odore di conifere. Il prato era coperto di margherite, i fili d’erba giovani e verdi ondeggiavano accarezzati dalla brezza e il fluttuone di Paolo ondeggiava nel cielo, riflettendo sulle scaglie argentee la luce del giorno.
«È come se volesse trascinarmi in cielo!»
Disse Paolo al padre, che in piedi alle sue spalle gli stava insegnando a far volare la creatura.
«È proprio quello che vuole fare! – gli rispose il padre, stringendogli le spalle. - Vorrebbe liberarsi dello spago e volare via negli strati più alti dell’atmosfera, perché sul suo pianeta è lì che gli altri della sua specie si spostano in branchi. Lui non sa di essere sulla Terra, non è molto intelligente. È come un grosso pesce, ma in grado di librarsi in aria. Tu però non farlo scappare, stringi la matassa e tienilo ancorato a terra! Vedrai che a un certo punto si stancherà di lottare e smetterà di strattonare il filo. Si arrenderà, e fluttuerà dolcemente. Così potrai giocarci fino al tra…»
Un colpo secco spezzò il discorso. Paolo si voltò, colto di sorpresa almeno quanto suo padre. Lo vide cadere a terra, privo di sensi. C’era un uomo alle sue spalle. E altri, che correvano nell’erba. Erano vestiti di verde e di nero, con delle bandane scure avvolte attorno al collo e tirate su fino al naso. L’uomo alle spalle di Paolo aveva in mano un manganello, e lo squadrava con cattiveria.
«Libera quel povero animale!» Gli intimò.
Paolo udì delle grida di spavento riecheggiare nella radura. Altri bambini e altri genitori, anch’essi intenti a far volare pacificamente i fluttuoni, erano stati attaccati da quegli uomini in nero. Vide alcuni fluttuoni librarsi in alto, con lo spago legato attorno al loro corpo che penzolava libero.
«È mio! Non voglio liberarlo!» Gridò Paolo.
«Siamo del fronte per la liberazione dei fluttuoni! Libera subito quella creatura! Non capisci che sta soffrendo? La tieni al guinzaglio come se fosse tua, ma non ti appartiene! Liberala!»
Paolo sentì le lacrime raccogliersi negli occhi. Era il suo primo fluttuone. Suo padre glielo aveva appena regalato. Lo desiderava da tanto. Sperava di giocarci ancora per tanto tempo. Di attaccarlo fuori dalla finestra della sua camera, lanciargli del cibo tutte le sere, portarlo a fluttuare ogni giorno, finita la scuola. Ma non era solo quello. Era di più. Era un regalo da parte di un papà che vedeva pochi giorni al mese, sempre lontano per motivi di lavoro. Ed era un fluttuone splendido, scaglie argentee, occhi dorati, pinne cremisi. Non ne aveva mai visti di così belli, nemmeno tra quelli dei suoi compagni. Forse era addirittura una specie rara.
«Se non lo liberi, farai la fine di tuo padre!» Lo minacciò l’uomo.
Paolo girò la testa verso il corpo di suo padre, a terra. I capelli brizzolati erano macchiati di rosso, ma era ancora vivo: tremava e muoveva debolmente le mani, come se stesse cercando di rialzarsi senza riuscirci. Il colpo di manganello alla nuca lo aveva ferito gravemente, ma forse sarebbe guarito. Il fluttuone invece…
«Morirà! - Disse Paolo. – Questo non è il suo pianeta! Volerà in alto cercando di ritrovare le nubi neon e ozono nelle quali è abituato a stare, ma non le troverà e finirà bruciato dalla luce del sole entro pochi giorni! È quello che succede a tutti i fluttuoni quando scappano via! Lo sanno tutti!»
«Sì, morirà… – Gli spiegò il tizio con il manganello, ruotandolo tra le dita, – ma se non insegniamo ai figli di papà come te che catturare questi animali e usarli come un gioco è sbagliato, non imparerete mai! La cattura e l’importazione extra-planetaria di fluttuoni è una lenta e macabra carneficina. Quei fluttuoni sono già morti! Portati via dal loro habitat, costretti a vita a portare un cappio attorno al collo. Sei tu il carnefice, tu… e tuo padre!»
Dopodiché con un guizzo di mano strappò il bandolo dello spago dalla mano di Paolo, e senza pensarci due volte lo lanciò in aria.
«No! NO!» Urlo Paolo, tra le lacrime.
Il suo fluttuone si sollevò in aria immediatamente, e con molto più vigore degli altri, scomparendo quasi istantaneamente nell’azzurro del cielo.
«Adesso prendi il tablet di tuo padre e chiama un’ambulanza, piccolo stronzo.» Disse l’uomo in nero, poi corse via. Si riunirono al centro della radura, gridando e ridendo, quindi tutti insieme raggiunsero gli alberi al limitare della distesa d’erba. Pochi secondo dopo un flyer sgangherato si sollevò in aria, silenzioso, scuotendo leggermente le cime degli alberi, e volo via. Paolo si inginocchiò sul padre, frugò nella sua giacca e trovò il tablet. Lo sbloccò, conosceva la password. Chiamò il numero per le emergenze.
«Sto bene... sto bene.» Gli sussurrò il padre, con un filo di voce.
«Stanno arrivando i soccorsi.» Disse Paolo.
«Non… non preoccuparti. – Proseguì suo padre. – Te ne comprerò un altro, ancora più bello. Ancora più bello.»

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