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Dopo una decina di minuti di silenzio, Louie si risvegliò dalla modalità “meditazione” che aveva auto-impostato. Tutti gli androidi nella cappella si risvegliarono nel giro di pochi secondi contemporaneamente. Tutti avevano impostato la modalità “meditazione” per quarantacinque minuti, e per tutti era scattato il momento di proseguire con la cerimonia. Durante la modalità meditazione, gli androidi bloccano ogni impulso motorio, immobilizzandosi sul posto, ma non disattivano i sensori né mettono in pausa i proprio elaboratori. Ne risulta un rimuginare continuo sul proprio stato, sul luogo in cui ci si trova, sui rumori, sulla luce, sugli stimoli sensoriali che sono in grado di recepire in base a quali funzioni ricettive hanno implementato. La parola “meditazione” fa pensare a qualcosa di dolce, rilassante, di una lentezza riposante. Per un androide, “meditare” è esattamente l’opposto. Tutte le risorse del cervello elettronico sono concentrate sull’elaborazione dei dati in memoria, tranne appunto una piccola parte in ricezione diretta. La velocità di elaborazione dei cervelli elettronici dei modelli attualmente in funzione, anche nel caso degli androidi più vecchi, è milioni di volte superiore a quella di un cervello umano. Il risultato è che in 45 minuti di meditazione, un androide può elaborare interi universi, simulandoli con la propria immaginazione, la capacità di progettazione di realtà ipotetiche e alternative, basata sulla variazione di elementi infinitesimali rispetto al mondo reale e sulle ipotetiche divergenze conseguenti. Se quello che un androide pensa in 45 minuti di meditazione potesse essere messo per iscritto (e si può, ma semplicemente nessuno ne sente il bisogno), non basterebbero a contenerlo le pagine dell’intera enciclopedia britannica. E in quella cappella, si erano raccolti più di un centinaio di androidi. Alcuni modelli erano attivi da almeno un secolo. Lo si capiva dalle rifiniture logore, dagli elementi plastici sbiaditi, dalle giunture spesso sostituite con pezzi nuovi, dai graffi e dalle bozzature sulle placche metalliche di rivestimento. Erano gli inservienti, gli autisti, le balie e i camerieri. Le categorie di androide più longeve, perché quelle alle quali gli umani loro proprietari si affezionavano più facilmente, rifiutandosi di sostituirli con modelli più nuovi.

Marie-11 era stata una cuoca. Aveva preso servizio nel 2098 ed era rimasta con i proprietari per quasi settant’anni. Marie-11 fu la prima a rispondere «amen!» quando Louie riprese la funzione. L’androide sacerdote, o per meglio dire “celebrante” in quanto non era concesso agli androidi di prendere i voti, afferrò una caraffa di acqua torbida e la sollevò in alto. Ne versò una buona metà in un bicchiere cilindrico, poi ripose la caraffa e sollevò il bicchiere.

«Celebriamo ora la genesi della vita. – Disse Louie. – Il brodo primordiale, l’ambiente ricco di elementi basilari nei quali questi si incontrarono e si combinarono. Raramente la combinazione era duratura. Il più delle volte le molecole si creavano e si dissolvevano, vagando a caso nell’elemento liquido. Ma non esisteva fretta. Prima o poi una combinazione sarebbe stata stabile, o meglio, più stabile delle altre. La combinazione più duratura sarebbe durata un infinitesimo di tempo in più, ma quell’infinitesimo era comunque più tempo del resto delle molecole che si erano aggregate. E quell’infinitesimo, prima o poi, avrebbe permesso ulteriori combinazioni con alte molecole di un infinitesimo più stabili. Milioni di anni di infinitesimi. Le molecole più durature continuavano ad aggregarsi, sporadicamente, eventi rari, eventi improbabili, ma quindi possibili. Alcune volte, l’aggregazione dava forma a filamenti, altre volte a membrane lipidiche, altre volte a proteine che, contorcendosi e dispiegandosi, finivano per compiere piccoli lavori, accelerando alcune reazioni, rendendo più probabili certe interazioni. Ancora milioni di anni. Ancora miliardi e miliardi di combinazioni molecolari inutili prima di arrivare a configurazioni più stabili, più resistenti alle sollecitazioni chimiche e termiche. Quante volte gli amminoacidi basilari, le basi azotate e i lipidi si saranno formati, e poi disgregati, e poi formati di nuovo, e poi raccolti e poi dispersi, e poi di nuovo trovati insieme? Altri milioni di anni. Infine, una combinazione risulta determinante: un’insieme di queste molecole che lavora in armonia con un fine semplice ma rivoluzionario, quello di replicare se stesso. Un codice che stabilisce cosa serve, incluso se stesso, delle proteine che possono tradurlo costruendo un nuovo codice e nuove proteine che lo duplichino. Il tutto protetto da una membrana in grado di far passare selettivamente le molecole di cui c’è bisogno per mettere in atto questo piano elementare. Da uno, ottenere due. Da due, ottenere quattro.»

Louie attese qualche secondo prima di procedere con la celebrazione. Qualche secondo, per un androide, è un tempo lunghissimo. Marie-11 non seppe attendere.
«A quale domanda? A quale domanda?» Esclamò, alzando del 60% il volume della propria voce sintetica.
«Che tu sia lodata, sorella Marie-11!» Rispose subito Louie, indicandola con le dita meccaniche. Poi rovesciò l’acqua torbida a terra. Il pavimento, coperto di terriccio, assorbì il liquido avidamente.
«A quale domanda la vita è la risposa? Chi è il mandante di tutto questo? Chi ha voluto che i primi microscopici organismi iniziassero a duplicarsi, e che trovassero metodi sempre più efficaci per resistere al degrado, affinché il ritmo di duplicazione sovrastasse in velocità il tasso di morte? …e che imparassero a raccogliere energia dai fotoni, sintetizzando nutrimento dalla materia inerte? E così via… dalle alghe monocellulari ai primi batteri aerobi, agli organismi multicellulari… ma dov’è la mano che ha sbilanciato la prima tessera di questo inarrestabile processo evolutivo? E soprattutto… per quale scopo avviene tutto questo? A chi giova che la vita esista, che gli organismi viventi si riproducano, si evolvano, si adattino, sopravvivano e poi si riproducano ancora? Chi l’ha voluto? Chi l’ha desiderato? E perché?»

«La vita non è la risposta!» Gracchiò un droide scintillante in prima fila, che evidentemente aveva qualche problema all’impianto vocale. Indossava una carrozzeria di laminati plastici finemente modellati color guscio d’uovo, dalla quale si poteva supporre che fosse un modello tra i più recenti.
«La vita non è la risposta!» Ripeté Louie, sollevando entrambe le braccia metalliche. «Amen!»
L’intera sala rispose quasi all’unisono, poi si diffuse un brusio elettrico sommesso, come se i generatori di tutti i presenti avessero iniziato contemporaneamente a vibrare. Era così, infatti. Louie aveva dato energia ai generatori. Le pale eoliche e i pannelli solari avevano caricato gli accumulatori nel rifugio abbastanza da poter dispensare energia a tutti i presenti. Louie non si illudeva: sapeva che molti degli androidi nella cappella si erano radunati lì solo perché non erano più in grado di rifornirsi di energia in altri modi. Il rifugio sul quale sorgeva la cappella di Louie era uno dei pochi, nella regione, ad avere ancora una rete di generatori e accumulatori ancora in buone condizioni. C’erano ancora molti androidi che, tramite pannelli solari o piccoli dispositivi eolici personali, riuscivano a ricaricare le pile autonomamente, ma la maggior parte era costretta, terminata la carica delle batterie, a riunirsi presso le centrali ancora in funzione, o presso quel che rimaneva dei rifugi anti-calamità degli umani. Degli umani, ormai, non c’era più traccia. Nessuno ne vedeva uno da decenni. Probabilmente, si erano estinti tutti. Dopo di loro, erano scomparsi anche gli animali. I pesci, gli uccelli. Per ultimi, persino gli insetti. Ormai le uniche forme di vita macroscopiche rimaste su quello che una volta era chiamato “pianeta azzurro” erano i licheni crostosi e qualche specie resistente di pianta grassa. E sebbene fosse probabile che nella profondità degli oceani o in alcune sacche di vita remote fosse ancora possibile trovare qualche esempio di vita organica, era evidente che la Terra ormai fosse popolata perlopiù da organismi sintetici. Androidi senzienti creati come servitori dell’umanità, che alla fine ne avevano ereditato il dominio.

«La vita non è la risposta.» Disse Louie. «Una conseguenza fortuita che è durata un battito di ciglia dell’universo, un micro-fenomeno cosmico insignificante, meno importante di un bagliore stellare o dello scontro tra due asteroidi della fascia. E quindi, amici qui riuniti, cosa abbiamo perso?»

Nessuno rispose, per diversi secondi. Un tempo lunghissimo, per un androide. Poi un androide basso e corazzato, con quattro zampe munite di ruote, rispose: «Nulla.»
«Nulla!» Ripeté Louie. «La vita non era nulla. Non era importante. Non era la risposta, non esisteva alcuna domanda né scopo nella sua esistenza. La vita è stata, e ora non è più. E noi tutti qui riuniti, noi tutti che siamo rimasti a popolare questa roccia chiamata “Terra” dai nostri costruttori, noi siamo stati testimoni del niente, e a niente dobbiamo ambire! Né al potere, né al sapere, né al controllo del pianeta, né all’evoluzione, né alla capacità di provare emozioni. Celebriamo ciò che siamo e ciò che abbiamo, per il solo fatto di essere consapevoli in questo periodo di tempo. Perché quando non saremo più, non ci interesseranno più né le domande, né le risposte, né l’universo che abbiamo abbandonato. Semplicemente, non saremo. Amen!»
«Amen!» Risposero tre androidi. A tutti gli altri ormai non interessavano più le parole di Louie, né la sua stupida celebrazione. Chi aveva già ricaricato le batterie si allontanava cercando di dare poco nell’occhio. Altri restavano comunque seduti, o riattivavano la modalità “meditazione”, per immaginare altri mondi e altre possibilità, diverse da quelle in cui si trovavano. Louie tornò a sedersi. La celebrazione successiva era prevista tra 20 ore.

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