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Il cielo era stellato, ma non era lo stesso cielo stellato che Simone era abituato a osservare. Le stelle brillavano con una intensità soprannaturale, come se facessero a gara ad offuscare la luminescenza delle altre stelle vicine. Il risultato era un chiarore tenue che rischiarava il cielo macchiando il blu cupo con tonalità di giallo, rosso, azzurro. Simone si rese conto di essere in piedi, sulle proprie gambe. Indossava il pigiama a righe con il quale si era coricato, quella sera, ma sentiva il corpo scivolarvi all’interno in maniera sospetta. Si osservò per prima la pancia, stranamente priva di lividi, e poi le mani. La pelle era tesa sulle nocche e priva di macchie. Rigirandole, non riconobbe il disegno sui palmi. Si rese conto invece che le stava osservando controluce, nonostante le tenesse sollevate appena all’altezza del petto. La luce proveniva dal basso. Le sue gambe erano immerse in una calda luce tiepida: fili d’erba luminescenti gli accarezzavano i piedi. Lentamente il suo cervello acquistava consapevolezza del posto in cui si trovava, come se si fosse appena destato e i suoi pensieri faticassero ad emergere dalla foschia del risveglio. Sgranò gli occhi quando uno sciame di esserini fluttuanti grandi appena una dozzina di centimetri e muniti di grandi occhi di brillanti di luce azzurra iniziò a volteggiargli attorno. Si muovevano veloci nell’aria senza emettere alcun rumore, come se nuotassero. Dopo aver vorticato un paio di volte attorno a quel bizzarro nuovo visitatore, si dispersero come un banco di seppioline spaventate. Qualcuno si avvicinava a grandi passi, muovendosi nell’erba alta con apparente disinvoltura. Indossava abiti leggeri e vagamente orientaleggianti, e aveva le fattezze di una giovane ragazza dagli occhi a mandorla e con la pelle chiara.

«Benvenuto nell’oltreverso, signor Turini.» Disse, con tono sicuro e voce squillante. Il suo accento era inconsueto. Aveva qualcosa di straniero, ma Simone non avrebbe saputo dire con quale inflessione.
«Dove siamo?» Chiese.
«E la domanda successiva, nel 79% dei casi, è “chi è lei?”, seguita subito dopo, nel 94% dei casi, da “come sa il mio nome?” o da “ci conosciamo?”.»

«Mi sembrano domande legittime.» Commentò lui.
«Questo è il nostro Hub. Io sono L.1.S.A., ovvero intelligenza artificiale di supporto livello 1. Lasci perdere l’acronimo. Mi chiami Lisa.»
Simone annuì, ancora disorientato.
«…e come le ho detto, questo è l’oltreverso. Può chiamarlo anche “aldilà” o “altro mondo” (un termine un po’ desueto, ma evocativo). Altri nomi glieli sconsiglio per una questione di diritti che non siamo ancora riusciti a risolvere.»
«Sono morto?» Domandò sbigottito Simone.
«Lei è molto sveglio, signor Turini.»
Lisa lo invitò a seguirlo e si incamminò attraverso il campo di erba luminosa. In lontananza, stagliati come ombre nere sul cielo illuminato dalle stelle, era possibile intravedere gli alberi che facevano da cornice a quell’enorme pianura. Non appena si mossero, un altro sciame di quegli esserini li affiancò, ed iniziò a volteggiare nei dintorni, come inseguendo invisibile e impercettibili correnti d’aria.

«In realtà nessuno muore più da migliaia di anni, ma tecnicamente possiamo dire di sì, lei è morto. Il suo corpo fisico ha raggiunto il limite, dopo una lunga e penosa degenza che ci siamo permessi di eliminare dal suo database di ricordi.»
Lisa si voltò un attimo verso di lui.
«Abbiamo anche ritoccato il suo aspetto fisico, credo l’abbia notato. Niente di pesante o di volgare, solo qualche intervento di make-up digitale per eliminare gli inestetismi più pronunciati. E i segni della degenza ospedaliera, ovviamente. Per quanto ormai le procedure siano veramente poco invasive, il lungo corso della sua malattia aveva segnato il suo corpo. Si trova bene?»
«Io… sì, credo di sì. Ma non capisco.»
«Sono qui per questo signor Turini.» Rispose lei con un sorriso, poi riprese a camminare.
«La sua coscienza è stata duplicata in formato digitale prima che lei morisse. Non pensi a nulla di troppo fantascientifico, né di veloce. Durante gli ultimi sei anni e otto mesi della sua vita analogica, è stato lei stesso a fornirci le informazioni necessarie per la ricostruzione della sua personalità. Non ricorda di averlo fatto perché, come le dicevo, abbiamo provveduto a rimuovere dalla sua memoria i ricordi spiacevoli della sua degenza in ospedale, che si è protratta per gran parte degli ultimi anni. Sicché anche il periodo in cui ha digitalizzato la sua coscienza è stato in gran parte rimosso. Eventi troppo interconnessi, un effetto collaterale.»
Simone continuava a seguire la ragazza, voltandosi continuamente attorno per ammirare il meraviglioso e innaturale panorama che lo circondava.
«In pratica, prima di morire, lei stesso ha risposto a circa sedici milioni di domande che riguardavano se stesso, i suoi gusti personali, le sue motivazioni e la sua percezione di sé. Il nostro assistente automatizzato l’ha sottoposta anche a test mnemonici, logici e ricettivi. Il tutto è avvenuto con relativa tranquillità, perché eravamo stati informati che il decorso della sua malattia le avrebbe lasciato ancora diversi anni di vita, e lei è vissuto ben oltre le previsioni iniziali. Ogni dato, al momento della sua morte, è stato processato. Lei non è “esattamente” Simone Turini, ma è sicuramente la riproduzione il più fedele possibile alla coscienza di Simone Turini che i nostri algoritmi di creazione sono stati in grado di sintetizzare.»
«E i miei ricordi? – Domandò Simone. – Ricordo molte cose… ricordo mia moglie Elisabetta, mio figlio Daniele… la mia casa, la mia auto. Ricordo che lavoravo come portiere in un condominio lussuoso, al centro di Firenze. L’androne con le colonne, la portineria, le scale in marmo. Ricordo una rondine che fece il nido sotto la grondaia all’esterno, vicino alla finestra della cucina. Elisabetta scattò le foto ai pulcini che sporgevano la testa dal nido. Ricordo le foto, il suo cellulare…»
«Abbiamo raccolto molto materiale fotografico, signor Turini. Lei ci ha autorizzato ad accedere ai suoi archivi fotografici, ai video. I nostri algoritmi fanno il resto. Nel momento in cui lei ricorda qualcosa, un algoritmo pesca le immagini, i suoni, persino i profumi dal database e ricostruisce il ricordo. Una sorta di videomaking istantaneo in cui lei è il regista. Non è nulla di complicato, per una intelligenza artificiale.»

Lisa si fermò nel mezzo di un cerchio di erba più alta del normale. Gli steli, lunghi e sottili, arrivavano ben oltre le ginocchia di Simone, lambendone i fianchi. La ragazza sganciò dalla veste una spilla metallica, la aprì rivelando una sorta di meccanismo all’interno, e con rapidi gesti la trasformò in una piccola bilancia a due piatti. La sorreggeva con le dita. I due piatti erano perfettamente in equilibrio. A Simone quella scena ricordò le antiche credenze egiziane dell’epoca dei faraoni: nell’oltretomba il dio Anubi soppesava il cuore dei defunti utilizzando una bilancia del genere. Sull’altro piatto veniva posta una piuma. Se il cuore fosse stato più pesante della piuma, l’anima del defunto sarebbe stata respinta, vagando nel buio in eterno. Se il cuore fosse risultato più leggero, l’anima avrebbe avuto accesso al reame divino. O qualcosa del genere.
«Sarò giudicato?» Chiese Simone, con una punta di timore.
«In un certo senso.» Rispose Lisa. La risposta era tutt’altro che rassicurante.
Lisa procedette sollevando la mano sinistra, mentre con la destra continuava a tenere la bilancia, sempre in equilibrio perfetto. Le dita della mano sinistra della ragazza si mossero con eleganza, quasi accarezzando l’aria. Gli esseri fluttuanti reagirono spiraleggiando con lentezza attorno a lei. Quando Lisa smise di agitarle, una moneta d’argento le apparve tra le dita. La mostrò a Simone.
«Questo è il prezzo da pagare per entrare nell’oltreverso.» Disse.
«Ma… avevi detto che eravamo già nell’oltreverso.» Replicò Simone.
«In un certo senso, sì. Ti ho detto che siamo nell’Hub. Questo è il fulcro da cui dipartono molte strade, il crocevia che precede l’oltreverso vero e proprio.»
«Sei… il diavolo del crocevia?»
«Glie l’ho già detto che lei è molto sveglio, signor Turini.»
Simone non sapeva se ancora quel suo corpo possedesse del sangue, forse non più, forse era solo un’immagine di se stesso proiettata in un universo virtuale, ma qualsiasi cosa gli scorresse nelle vene, lo sentì gelarsi.

«Cosa devo fare?»
«Su un piatto, – proseguì Lisa. – c’è il prezzo da pagare…» E appoggiò la moneta sul piatto sinistro della bilancia. Le braccia della bilancia si inclinarono velocemente.
«…sull’altro, deve mettere un valore equivalente. La sua vita.»
Simone indietreggiò di un passo, sbigottito.
«Dovrò… morire di nuovo?»
«No, no… assolutamente no, Signor Turini!» La ragazza sorrise, a quanto pareva divertita dall’assurda ipotesi di Simone. Quella risata appena accennata le schiarì il volto alleggerendo l’atmosfera che si era venuta a creare. «Lei è già morto. Ha già vissuto la sua vita. Sul piatto deve solo mettere il valore che ha avuto la sua vita. Quel valore è stato già determinato dal nostro sistema, deve solo raccoglierlo e depositarlo qui, su questo piatto.»
«Che assurdità! – Esclamò Simone. – E come avrebbe fatto un sistema a conteggiare il valore della mia vita? Non è una cosa che si può tradurre in cifre, che si può quantizzare!»
«Se vuole glielo posso spiegare. – Disse cortesemente Lisa. – Sono qui apposta per questo. Non si agiti. Non ce n’è motivo.»
«Ci puoi scommettere che voglio che me lo spieghi!» Sbraitò Simone, sollevando l’indice verso il cielo. Gli esserini luminosi si dispersero allargandosi fino a scomparire all’orizzonte, come pesci in uno stagno quando qualcuno ci getta una pietra. Questo non calmò Simone, che ormai era partito per la tangente e aveva già iniziato ad impilare frasi fatte, dando sfogo alla sua rabbia.
«Sono stato un buon marito, un buon padre! Mi spezzavo la schiena tutti i giorni per la mia famiglia! Spero bene che tutto questo venga conteggiato, dal vostro fantomatico “algoritmo”!»
Lisa annuì, sorridendo. Sembrava non essere minimamente intaccata dallo sfuriare di Simone, e questo fece sì che l’uomo si rendesse conto di stare esagerando.
«La prego, non si agiti. Glielo ripeto, non ce n’è motivo.»
«E allora spiegami!»
«Mi faccia un esempio di una vita che non vale niente.» Gli domandò Lisa.
Simone abbassò le mani e incrociò le braccia. La domanda l’aveva spiazzato. Frettolosamente rispose con la prima cosa che gli venne in mente:
«La vita di un assassino, di un criminale!»
Lisa annuì.
«Giusto. Sicuramente privare il prossimo della possibilità di trascorrere una parte della già breve esistenza che viene concessa agli esseri umani contribuisce a diminuire il valore della propria vita. Ma se questo assassino fosse anche un grandissimo conquistatore? Pensi a quanti uomini ha ucciso Giulio Cesare. Di suo pugno, si intende, senza contare le migliaia di vite spezzare dai suoi soldati. Hitler, di suo pugno, probabilmente ne ha uccisi molti meno. Eppure Giulio Cesare è celebrato come un eroe, e la sua vita ha un grandissimo valore.»
«Cosa vuoi dire con questo?» Chiese Simone, torvo in volto.
«Solamente far notare che se è vero che azioni spregevoli, che spezzano vite altrui o che rendono l’altrui esistenza più infelice, degradano il valore della vita di chi le compie, è anche vero che, all’opposto, compiere azioni che contribuiscono a rendere l’esistenza del resto dell’umana più prospera e più felice, aumentano il valore della propria vita. Non è un ragionamento semplice?»
«Lo sembrerebbe.» Convenne Simone.
«E quanta più umanità ne beneficia, tanto più valore valgono le vite di chi contribuisce al bene e alla felicità dell’umanità stessa. – Proseguì Lisa. – Immagini di essere riuscito a rendere migliore l’esistenza di una o due persone, anche di molto. E adesso immagini invece di aver creato un’opera che ha allietato i cuori di chiunque ne abbia usufruito, e ne usufruirà ancora. O di aver sintetizzato il vaccino per una malattia che avrebbe mietuto centinaia di vittime, che saranno d’ora in poi salve. O di aver garantito la pace ad una intera nazione, permettendo al suo popolo di vivere sereno per molto tempo. La vita di chi ha compiuto una o più di queste ultime azioni non avrebbe molto più valore della prima di chi si è speso per la crescita fisica, intellettuale o anche solo spirituale di pochi, o addirittura solo di se stesso?»

Simone sbuffò.
«Secondo lo stupido algoritmo.»
«Certo, – rispose Lisa. – secondo lo stupido algoritmo.» E sorrise.
«E l’amore che provavo per mia moglie? La dedizione verso mio figlio? Queste cose non valgono quanto un vaccino che salva l’umanità… o almeno quanto uno stupido quadro esposto in un museo?»
Lisa sorrise ancora.
«Qualcuno, ne sono certa, direbbe di sì. Direbbe che la dedizione di un padre nell’assicurare il cibo in tavola alla propria famiglia vale più di un anno di pace garantito a una nazione intera, o che il prendersi cura di un figlio vale più di cento quadri di Picasso, o del David di Donatello, o di una raccolta di poesie che strazia il cuore a chiunque la legga. Qualcuno direbbe persino che una serata popcorn e film con il proprio amore vale più dell’invenzione della lavatrice, o dei sonetti di Shakespeare, o della scoperta di una nuova galassia.»
«Ma non lo stupido algoritmo.» Concluse Simone.
«Non lo stupido algoritmo.» Ripeté Lisa.
Simone abbassò lo sguardo. Qualcosa brillava nel palmo della propria mano sinistra. Ora notò anche un formicolio e una sensazione di calore di cui prima non si era accorto. Sollevò la mano. Si ritrovò tra le dita una biglia di vetro che emetteva un pallido chiarore rossastro. Alzando la testa incrociò lo sguardo di Lisa. Lei annuì, poi inclinò la testa da un lato, invitandolo a porre quella biglia sul piatto. Simone deglutì rumorosamente. Mosse un passo e distese il braccio, lasciando cadere delicatamente la biglia di vetro sul piatto destro della bilancia. La bilancia si inclinò. Ma non abbastanza. Il piatto sinistro, quello con la moneta d’argento, era più pesante.

«Cosa mi accadrà adesso?» Disse Simone, con un filo di voce.
«Nulla. Resterai qui.» Gli rispose Lisa, quasi a volerlo rassicurare.
«Qui? In questo… prato?»
«Esatto. È il tuo oltreverso.» Rispose ancora la ragazza, mentre ripiegava la piccola bilancia trasformandola di nuovo in una elaborata spilla. Simone si voltò e scrutò l’orizzonte, fin dove gli era possibile vedere qualcosa. Ai margini del prato sembrava esserci in una sorta di bosco, ma era lontanissimo. Senza aguzzare la vista, il manto d’erba pareva distendersi in ogni direzione per chilometri, immobile e luminescente.
«Non avrai bisogno di mangiare, né di dormire, né di procreare, né di avere un tetto sulla testa, né di accudire un figlio. – Gli spiegò Lisa.»
«C’è qualcos’altro in questa radura?»
«Molti altri. Ci sono altre radure, oltre quegli alberi.»
«Ma io… Cosa farò per tutto il tempo?»
«Ti realizzerai. Cercherai di dare un senso a tutto il tempo che avrai a disposizione.»
Simone Tentennò.
«Quanto tempo avrò?»
«L’eternità.» Gli rispose Lisa. Sorrise. Scomparve.

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