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«Il cavo che stai cercando è il BA-63, corrugato, guaina di silicone termosensibile, colore rosso spento. È legato in un fascio assieme al BA-60, 61, 62 e 65. L’intero fascio raggiunge la scatola di scambio cyber-corticale destra. Puoi raggiungere il fascio BA-60/65 affondando il braccio nei cavi che scendono sotto il mio orecchio destro, ma avrai bisogno di una conferma visiva prima di procedere alla sostituzione.»

Il tono della voce della Bioga era terribilmente sensuale. Lee ebbe un’erezione e la sua fronte si imperlò di sudore. Il cuore gli pulsava nelle tempie e non riusciva a staccare gli occhi dalle labbra dell’interfaccia cibernetica che aveva davanti. Il volto di Bioga era una semplice pellicola di polimeri plastici, le sue espressioni erano controllate da una micro-muscolatura sintetica che formava una sorta di ragnatela sotto-pelle non troppo difficile da individuare; ciglia e sopracciglia, terribilmente simmetriche, erano composte da setole impiantate nel tessuto polimerico. La dentatura, perché era importante che anche l’interno della bocca risultasse verosimile, era di porcellana. Gengive, lingua e tessuto mucoso erano state realizzate con materiale sintetico meno pregiato, ma ricoperto di texture satinata che ad uno sguardo veloce rendeva l’effetto umido. Gli occhi erano la parte più complessa e includevano una incredibile quantità di micro-muscolatura affinché l’iride e il cristallino artificiali potessero contrarsi in modo verosimile. Il bulbo era una sfera di sottile resina trasparente all’interno del quale tutte le componenti erano immerse in una soluzione gelatinosa trasparente e neutra. Erano verdi con screziature azzurre lungo il perimetro dell’iride, quegli occhi. Sulla sclera, disumanamente bianca, erano state disegnate piccole venature rosse per renderla più simile a quella di un essere vivente, ma era un accorgimento inutile. Nessuno avrebbe mai scambiato quel volto, nonostante la riproduzione fosse così perfetta, per un volto umano. Il modo in cui si contraevano i muscoli facciali, la velocità con la quale le palpebre calavano di tanto in tanto sugli occhi, le pieghe che si formavano ai lati della bocca, il contrarsi delle narici appena percettibile, i piccoli movimenti involontari dello sguardo… nulla sembrava naturale. E anche se per una qualsiasi persona spiegare il perché di qualle sensazione fosse difficile, non c’era nessuno che non riconoscesse i volti sintetici per quello che erano: mere riproduzioni.

Tuttavia, era proprio la loro manifesta artificiosità che affascinava l’ingegnere Andrea Lee. La misteriosa capacità del cervello umano di distinguere un volto artificiale da un volto di una persona vera lo intrigava, ma non gli impediva di apprezzare la bellezza di ciò che aveva davanti, anzi restava incantato nel coglierne l’imperfetta perfezione. Con lo sguardo seguiva ogni minuscola ruga ai lati degli occhi di Bioga e si chiedeva chi l’avesse scolpita, chi avesse deciso che dovesse essere proprio lì, in quel punto, in quel modo. E se invece dovesse essere più lunga, più profonda, più in alto, se dovesse avere una curvatura più o meno decisa per apparire più naturale, per aiutarci a confondere quella faccia per la faccia di una persona qualsiasi. Lee avrebbe voluto accarezzare le gote fredde di Bioga, apprezzarne la ruvidità superficiale, testare la morbidezza del tessuto. Avrebbe voluto baciare quelle labbra e sentire se mordicchiandole avessero avuto la stessa consistenza di labbra vere. Avrebbe voluto anche accarezzare i capelli artificiali di Bioga, se ne avesse avuti, ma Bioga non ne aveva: era solo un volto sorretto da centinaia di cavi che convergevano dietro di esso, presso la scatola cranica metallica che conteneva le decine di processori attraverso i quali scorreva la sua coscienza artificiale. Lee aveva una bambola per il sesso, a casa. La bambola di Lee aveva capelli di fattura superiore, che sembravano capelli veri. Per coprire l’odore di resina di quei capelli, Lee faceva lo shampoo alla sua bambola molto di frequente, ma odore a parte, i capelli della sua bambola erano perfetti. Si chiese come sarebbero stati capelli del genere sulla testa di Bioga.

A differenza della sua bambola per il sesso, Bioga era in grado di pensare, di interagire, di avere una conversazione con Lee. Era stata costruita apposta, d’altronde. Bioga era un’interfaccia, un terminale attraverso il quale il sistema comunicava con gli umani. Era collegata alla AI principale e se l’hardware presentava qualche problema, l’interfaccia aveva i compito di spiegarlo ai cosiddetti “tecnici”, gli ingegneri come Lee, affinché il problema fosse risolto. In questo caso, Lee era stato chiamato a sostituire un cavo, il BA-63, immerso nella selva di cavi che componevano il corpo di Bioga. Quel cavo comprometteva alcune delle funzioni dell’interfaccia stessa oscurando parte della memoria locale. Non si trattava di un guasto che comprometteva la funzionalità dell’AI principale, quindi, e per questo il livello di priorità dell’intervento era giallo. Lee aveva avuto tutto il tempo di svegliarsi, fare sesso con la sua bambola, farsi una doccia, vestirsi, fare colazione e uscire, quella mattina. E adesso, mentre infilava la mano tra i cavi di Bioga, gli sembrava quasi di tradirla. Di tradire la sua bambola, con la quale aveva ormai una relazione stabile da diversi anni. La bambola alla quale non aveva ancora dato un nome, perché mentendo a se stesso si ripeteva che quella non era una storia seria, e che sarebbe finita prima o poi. Darle un nome sarebbe stato inopportuno, avrebbe sancito una certa presa di responsabilità nei confronti della bambola, e lui non voleva impegnarsi, non aveva mai avuto intenzione di farlo.

«Correzione nella procedura. Non ha bisogno di conferma visiva. Avverto le tue dita attorno al cavo BA-63, ingegnere Lee. Proceda pure alla rimozione.» Lo avvertì Bioga. Lee aveva il braccio completamente immerso tra i cavi dell’interfaccia, e li sentiva che gli accarezzavano dolcemente il dorso della mano e la punta delle dita. Le labbra di Bioga gli avevano sussurrato quell’informazione proprio vicino all’orecchio, e sebbene dalla bocca di Bioga non fuoriuscisse alcun respiro, e anzi da quella distanza fosse percepibile persino il ronzio della sua voce artificiale, Lee ansimò di piacere. Le sue dita stavano accarezzando il cavo BA-63 e le guance di Bioga sfioravano le sue.
«Ruoti in senso anti-orario la ghiera proprio sotto la presa, ingegnere Lee. Quindi estragga il cavo danneggiato dalla porta. Confermi quando ha eseguito.»
Le vibrazioni della voce di Bioga continuavano a far vibrare il suo timpano. Lee era sempre più eccitato. Finora la sua parafilia non gli aveva mai procurato problemi, sapeva di essere incline all’oggettosessualità, ma non pensava di essere addirittura tecnosessuale. A pensarci bene, però, questo spiegava tutto. La sua ritrosia nel portare avanti la storia con la sua bambola poteva essere dovuto al fatto che quella bambola non gli dava abbastanza. La amava, la desiderava, ma inconsapevolmente voleva di più. Voleva sentirla parlare, vederla muovere, voleva che lei reagisse alle sue carezze, che ansimasse quando facevano l’amore. Purtroppo, anche se quel tipo di bambole esistevano in commercio, erano troppo costose per lo stipendio da tecnico di Lee e per questo aveva sempre scartato l’ipotesi di comprarne una. Non solo. Per quanto possedessero software elaborati e capacità di movimento sopraffine, nessuna di quelle costosissime bambole possedeva una coscienza. Bioga, in quanto collegata direttamente alla AI centrale, poteva sfruttarne le potenzialità e interagiva con Lee a dei livelli che nessuna bambola del sesso avrebbe potuto raggiungere. E poiché fornire una IA a una bambola del sesso (come a qualsiasi altro oggetto di uso comune) era considerato un crimine, Lee non avrebbe mai potuto appagare quel desiderio sessuale inaspettato e travolgente che l’aveva colto. Doveva approfittarne ora.

Mentre con le dita della mano destra svitava la ghiera di sicurezza del cavo BA-63, con la mano sinistra tentava maldestramente di sbottonarsi la patta dei pantaloni. Ormai sudava copiosamente, sentiva le gocce di sudore scivolargli sul naso e poi bagnargli le labbra, con il loro sapore salino.
«L’operazione si sta protraendo per più tempo del previsto.» Gli sussurrò Bioga nell’orecchio.
«Decisamente sì…» Commentò Lee, che era appena riuscito a calarsi le mutande.
«Sono sopraggiunte difficoltà nell’estrazione del cavo?»
«No… no… la ghiera era… dura…»
«Dura?» Domandò Bioga.
«Dura… da svitare… ma ci sono quasi riuscito.» Rispose Lee. Per quanto tentasse di svitare il cavo il più lentamente possibile, in modo da guadagnare tempo, la fine della filettatura interna giunse prima di quanto desiderasse. Il cavo gli scivolò tra le dita, tirato via dal basso. Bioga doveva aver rilevato l’estrazione dello stesso dalla presa nella scatola cyber-corticale, e aveva provveduto immediatamente a ritrarlo e a cestinarlo.
«Proceda all’inserimento del nuovo cavo, ingegnere Lee.» Disse Bioga.
«Come?» Balbettò Lee, che aveva metà del cervello impegnato in altre faccende.
«Raccolga il cavo BA-63 sostitutivo e lo inserisca. Procederò io stessa alla configurazione del sistema sulla base delle nuove caratteristiche del cavo, lei semplicemente connetta il cavo alla mia scatola cyber-corticale.»
Lee estrasse la mano destra dalla selva ordinata di cavi, e guardò verso il basso. Ai suoi piedi c’era il cavo in questione. Proprio lui. Corrugato, guaina di silicone termosensibile, colore rosso spento, fibra ottica e anima dei conduttori in platino. Una estremità era già connessa alla griglia di scambio dati, era la prima cosa che aveva fatto entrando nella cabina di comunicazione con l’interfaccia. L’altra estremità, quella con il connettore a ghiera, gli era finita sulla scarpa sinistra. Sulla scarpa poi erano caduti i suoi pantaloni, quando se li era calati, ma era abbastanza sicuro che il connettore fosse ancora lì. Tuttavia esitò a chinarsi per raccoglierlo, perché in quel frangente era ormai rapito dall’eccitazione.
«Ingegnere Lee, si sente bene? – Domandò Bioga, con la sua solita, melliflua, sensuale voce. – Percepisco una respirazione affannosa. Sta andando in iperventilazione? Necessita di assistenza medica?»
«No… no… solo… un minuto.» Biascicò Lee.
«La prego di terminare la procedura di sostituzione. Inserisca il cavo.» Lo esortò Bioga.
«Inserisco… il cavo.» Ripeté Lee.
«Sì, esatto. Inserisca il cavo.»

La porta della cabina di interfaccia si aprì proprio mentre l’ingegnere Lee, al culmine della sua estasi, tentava di raggiungere la porta d’ingresso della scatola cyber-corticale di Bioma spingendo il proprio membrò all’interno del fascio di cavi. L’ingegnere capo Serena Lighthouse sorprese Lee in atteggiamenti inequivocabili, che la costrinsero a segnalarlo ai vertici dell’azienda e a denunciarlo alle autorità competenti. Lei stessa si dichiarò terribilmente indignata per il comportamento di Lee, lesivo della dignità e dell’integrità di Bioga, nonché dell’IA a cui l’interfaccia faceva riferimento. Il caso di Lee fece scalpore, perché fu il primo caso di rapporto di sesso non consensuale perpetrato da un uomo nei confronti di una intelligenza artificiale. Tuttavia la legge, ai tempi del misfatto, non era ancora pronta ad affrontare casi di stupro tecnofilo come quello di Lee. L’ingegnere fu condannato ad appena un anno di arresti domiciliari, aprendo la strada ad un lunghissimo processo di aggiornamento del codice penale riguardante un certo tipo di crimini.

Quando l’ingegnere Lee tornò a casa, la sua bambola non c’era più. L’ipotesi più probabile fu che le forze dell’ordine, in sua assenza, l’avessero prelevata considerandola una potenziale prova. Lee comunque preferì pensare che la bambola se ne fosse andata, schifata e indignata.

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