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«Il modus operandi è sempre lo stesso?» Chiese l’ispettrice Keela, chinandosi sul corpo della vittima. L’agente Olivieri a malapena riusciva a rivolgere lo sguardo verso il cadavere martoriato della giovane ragazza, e biascicò un affannoso “sì” tra un colpo di tosse e l’altro, cercando di reprimere il conato di vomito.
«Studentessa, umana, sedici anni. È stata trovata sul marciapiede un’ora e mezza fa da un paio di suoi compagni di corso. Secondo le prime stime deve essere morta da circa cinque o sei ore. Vuole parlare coi ragazzi della scientifica? Glieli posso chiamare.»
«Non ce n’è bisogno, li lasci lavorare.»
Tutte quelle informazioni erano state elargite con calma e precisione dall’interfaccia bio-umanoide Pau, che fluttuava con la sua sedia a levitazione magnetica sui binari ai margini della strada. Quel modello di interfaccia bio-umanoide era ormai datato. Le nuove interfacce bio-umanoidi in dotazione alle forse di polizia Europa avevano tra l’altro un aspetto più antropomorfo. Pau era un vecchio modello, somigliava nell’aspetto a un nanetto deforme sdraiato all’interno di un fagiolo metallico fluttuante, la sua “sedia”. A nulla serviva il fatto che Pau indossasse camicie su misura per il suo corpicino storto, parrucche posticce per nascondere l’enorme testa calva, e che si facesse crescere i baffi. Anzi, forse questi goffi tentativi di “umanizzarsi” lo rendevano ancora più bizzarro. Mai a Keela non importava dell’aspetto di Pau. Gli interessava solo che svolgesse ancora perfettamente i suoi compiti, che erano essenzialmente rielaborazione dei dati e comunicazione inter-dipartimentale con il resto delle forze dell’ordine, nonché con i loro superiori. Sui folti e lunghi baffi di Pau si era accumulata della brina a causa del freddo. Quella mattinata era gelida, ben oltre la media stagionale. L’ispettrice Keela estrasse dal taschino della giacca una penna, e la usò per scostare il cappotto della vittima. Il lembo di stoffa semicongelata emise rumori simili a quelli di una piadina indurita, ripiegandosi su se stesso con difficoltà. Sotto il cappotto, i segni delle ferite erano evidenti: la ragazza era stata sventrata con qualcosa di grosso e tagliente, forse un machete o comunque una grossa lama, quindi la cassa toracica era stata spaccata e all’interno del torace, vicino al cuore, erano stati deposti i bulbi oculari che il killer le aveva strappato subito dopo averla uccisa. Anche stavolta, c’erano segni di lotta e di strangolamento.
«Occhi nel cuore. Se la ricorda quella vecchia serie degli anni 2000? Non si chiamava proprio così?» Domandò Pau.
«Era “gli occhi del cuore”, ma non era il titolo della serie.» Puntualizzò Keela rialzandosi in piedi. Rimise la penna nel taschino. Qualcosa non quadrava. Pau se ne accorse ma non era suo compito fare domande, quindi attese con pazienza che Keela gli spiegasse cosa stava rimuginando.
«Nel caso delle altre quattro vittime, il luogo del crimine era al chiuso. Mi sarei aspettata anche stavolta che il killer avesse trascinato via la vittima, dopo averla uccisa con una coltellata al cuore. Invece no… mette in scena il suo macabro rituale qui, sul marciapiede di un vicolo secondario. Lo mette in scena, in pratica, per nessuno.»

«Questo spiegherebbe perché su StarCast.org non sia ancora stato caricato alcun video.» Fece notare l’agente Olivieri, sfregandosi i palmi delle mani per il freddo.
«E questo secondo lei è “stesso modus operandi”?» Lo rimproverò Keela.
«L’ha squartata, le ha cavato gli occhi, glieli ha infilati nel petto… cosa crede, che lo facciano tutti gli assassini della stazione orbitante?»
Keela scosse la testa. Il modo goffo con cui Olivieri si stava giustificando ne tradiva la competenza. D’altronde era solo un agente, non era suo il compito di risolvere il caso, aveva solo avuto la sfortuna che il “killer di StarCast” mettesse a segno un’altra uccisione nel suo quartiere.
«Ogni dettaglio è importante, agente Olivieri. Anche il fatto che il killer ami riprendersi mentre sevizia la vittima e che carichi il video online subito dopo. Fa tutto parte del modus operandi. – Spiegò l’ispettrice. – Se ha modificato qualcosa nel suo modo di uccidere, questo può significare qualcosa. Dando per scontato che il killer sia lo stesso, cosa che potrebbe non essere.»
Pau fluttuò un po’ più avanti lungo il binario magnetico. Stava scorrendo lunghi muri di testo che apparivano evanescenti di fronte ai suoi occhi. Con i piccoli arti atrofici scartava le pagine che non gli interessavano e ne evidenziava altre.
«Anche questa vittima era una star di StarCast, come le altre. Paula Zambrano. Su InterNode era conosciuta come PowerPau e aveva all’attivo quasi duecento video, nei quali perlopiù si esibiva in balletti di breve durata su brani celebri della scena ultra-pop. Centoquattromila iscritti.»
Due agenti piuttosto giovani si avvicinarono, sbucando da dietro una staccionata già decorata con luminarie natalizie. Stavano parlottando fra loro, ma quando si ritrovarono davanti l’ispettrice Keela, si irrigidirono tentando di riprodurre un qualche saluto formale.
«Ispettrice Keela, questi sono gli agenti Dana Silvestri e Mirko Dominici. – Li introdusse l’agente Olivieri. – Lavorano per me.»
«E cosa stavano facendo all’interno di quel cortile privato?» Domandò Keela indirizzando uno sguardo torvo ad Olivieri.
«Delle impronte nella SintoNeve ci hanno insospettiti, – spiegò l’agente Silvestri, – così Olivieri ci ha suggerito di dare un’occhiata. Dominici ha ottenuto l’autorizzazione dai proprietari, quindi abbiamo potuto ispezionare il capanno sul retro senza un mandato. Pare che là dentro fosse tutto pronto per compiere l’omicidio e registrarlo: ci sono cavalletti, fogli di plastica per coprire il pavimento, persino delle lenzuola che forse sarebbero servite a mascherare le pareti per impedirci di riconoscere facilmente la scena del crimine.»
«I proprietari ne sapevano qualcosa?»
«Niente. – Rispose Dominici. – Non usavano il capanno da anni.»
Nel frattempo l’enorme propaggine meccanica della nave-nosocomio si era allungato fino a coprire la luce dei tre soli artificiali della stazione orbitante. Un fascio di luce investì il corpo della vittima, che iniziò a fluttuare verso l’alto. Gli uomini della squadra scientifica si avvicinarono alla luce a iniziarono anche loro a levitare in direzione del boccaporto luminoso. Una volta recuperata la squadra scientifica e il cadavere, il fascio di luce si interruppe e il braccio meccanico della nave-nosocomio tornò a integrarsi con la sua struttura principale, sospesa in cielo al centro della bolla gravitazionale della stazione.
«Perché allestire un luogo perfetto per riprodurre il proprio show e poi rinunciarci? – Domandò Keela. La domanda era posta più che altro a se stessa, e gli agenti di zona lo capirono. Sgombrata la scena del crimine, non avevano più bisogno di stare lì. Si avviarono quindi verso le loro vettura, non prima di essersi frettolosamente congedati dall’ispettrice e dalla sua interfaccia bio-umanoide. Pau attese che i veicoli degli agenti si allontanassero prima di rispondere alla domanda che l’ispettrice aveva posto a se stessa qualche minuto prima.
«Dal profilo psicologico che è stato tracciato, possiamo definire questo comportamento altamente anomalo. Il killer agisce uccidendo per invidia, desiderando per sé l’attenzione virtuale che le vittime sono state in grado di raccattare, spesso grazie a espedienti che lui reputa privi di reale talento artistico. Tuttavia carica i suoi video su StarCast, sapendo che nel giro di pochi minuti, prima che possano divenire virali, le autorità li rimuoveranno. È chiaro che il suo obiettivo non è tanto divenire una star di InterNode quanto eliminare quelle che secondo lui sono “non-star”. Riprendere se stesso e le vittime mentre ne dissacra i corpi è solo un modo per beffarsi di loro in modo definitivo, rendendoli protagonisti di un video cha ha per soggetto la loro morte. Inutile come tutti i loro precedenti video.»
L’ispettrice si perse nei suoi pensieri. Non riusciva a scacciare dalla mente l’idea che uno dei suoi due figli potesse essere in qualche modo un fan del killer che stava cercando di catturare. A causa del suo lavoro, rincasava sempre più di rado, e anche quando era a casa aveva sempre molto lavoro da svolgere. I suoi figli trascorrevano molto più tempo in compagnia dei loro dispositivi elettronici che con l’unico genitore che gli restava, da quando loro padre era tornato sulla Terra. Detestava questa mancanza di controllo, questa sua incapacità, non poter vigilare sui proprio figli, non poter consigliare loro come gestire il proprio tempo, non poterne limitare l’accesso a InterNode fintanto che non fosse riuscita a spiegare loro come filtrarne mentalmente i contenuti.
«Ispettrice Keela?»
«Sì, scusami Pau. Mi ero momentaneamente… distratta.»
«Concorda con la mia ipotesi?»
«Pienamente. È come se avessimo di fronte un puzzle al quale manca un unico pezzo, al centro. Tutto avrebbe un senso se trovassimo quel pezzo, ma continua a sfuggirci.»
«Ho stilato una lista dei possibili eventi che avrebbero potuto causare una variazione nel modus operandi del killer, ma nessuna delle ipotesi raggiunge il 100% di collimazione.»
«I pezzi non corrispondono con il nostro pezzo mancante.»
«Esatto. Ma potrebbe essere utile scorrere queste ipotesi per formularne altre.»
«Ma certo, Pau. Procedi.»
Pau avanzò lungo il binario magnetico. Non aveva senso indugiare ancora in quel luogo, ora che la scena del crimine era stata rimossa. Inoltre il clima virtuale della stazione prevedeva un ulteriore abbassamento della temperatura nel pomeriggio, quindi sarebbero stati di certo più comodi e più caldi all’interno del loro mezzo di ordinanza. L’ispettrice si incamminò di fianco a Pau, che accarezzandosi i baffi procedette ad elencare le sue ipotesi.
«Ipotesi numero uno: era presente del pubblico. Collimazione 56%.»
«Assurdo. Immaginiamo che dei passanti abbiano sorpreso il killer. Lui avrebbe continuato a seviziare il corpo della vittima compiacendosi di essere osservato?»
«E se fosse sopraggiunto un drone? Magari un drone privato, non uno delle forze dell’ordine. – Suggerì Pau. – Questa ipotesi collima al 69%.»
«Il brivido della telecamera sarebbe bastato a indurre il nostro killer a procedere nel suo show, ma non sapendo chi lo stesse osservando non avrebbe potuto agire in sicurezza. Se il suo spettatore fosse stato un cittadino onesto e solerte, e avesse deciso di denunciarlo? Sarebbe riuscito a completare la sua opera e a fuggire prima dell’arrivo degli agenti? Forse no, e questo rende l’ipotesi troppo poco probabile.»
Keela esitò.
«Però…»
Pau smise di avanzare.
«…e se nessuno lo stesse guardando?»
«Esplica la tua ipotesi.»
«Immaginiamo che il killer venga sorpreso da una telecamera, una telecamera accesa, ma che abbia anche la sicurezza che nessuno lo stia guardando. Nessuno seduto dall’altro lato dello schermo. Nessuno che possa riconoscerlo o denunciarlo. Improvviserebbe comunque il suo show davanti alla telecamera?»
Pau si grattò il parrucchino con le sue dita tozze, poi consultò mentalmente il proprio database elaborando una risposta che fosse supportata dai dati in suo possesso.
«Sì, lo farebbe. Stando al profilo psicologico che abbiamo di lui, c’è una probabilità del 91% che il killer, di fronte a una telecamera accesa e senza il timore di essere colto in flagrante, sia colto comunque dal desiderio di esibirsi. È l’estasi della telecamera a galvanizzarlo, non la quantità di neuroni che recepiranno le immagini.»
«Allora forse ho trovato il nostro pezzo del puzzle.»
Keela si voltò e iniziò a correre in direzione dell’ex-scena del crimine. Rischiò di scivolare sulla SintoNeve e cadere, ma riprese l’equilibrio e proseguì. Pau ruotò di 180° la sua sedia fluttuante e si apprestò a seguirla, ma la levitazione magnetica non gli consentiva di muoversi velocemente come un umano che corre, quindi raggiunse Keela sul posto solo dopo qualche minuto. L’ispettrice lo stava aspettando seduta su un muro di cinta alto meno di un metro, che circondava una delle proprietà ai margini della strada. Era proprio a pochi metri dal punto dove si trovava il cadavere della vittima.
«Ecco il suo pubblico.» Disse, indicando il muretto.
Pau dapprima non comprese. Aggrottò le sopracciglia e intensificò artificialmente l’immagine percepita dai propri occhi. A quel punto, intravide ciò che Keela stava indicando: il muschio. La sommità e i fianchi del muro erano incrostati di spionio, un muschio transgenico creato in laboratorio che era stato diffuso nella stazione orbitante come specie residente, affinché occupasse alcune delle nicchie ecologiche che non era possibile riempire con specie importate dalla Terra. Lo spionio crea agglomerati rigonfi dai quali, quando sufficientemente grandi, si allungando dei filamenti che terminano con un bulbo oculare. Lo spionio è a malapena cosciente di quello che osserva, ma è in grado di orientare i bulbi oculari sui propri filamenti in direzione della fonte di luce, di suono o di movimento più rilevante, proprio come se la stesse osservando. Si pensa che fissare un suo potenziale predatore possa essere una strategia messa in campo dallo spionio per metterlo a disagio e dissuaderlo dal disturbare la colonia di muschio. Mentre Pau ripassava mentalmente le caratteristiche dello spionio, dal letto di muschio più vicino a Keela si sollevarono una mezza dozzina di occhietti. Un’altra mezza dozzina seguì a breve, non appena anche Pau si avvicinò al muro. Altri occhietti si sollevarono come accorgendosi che c’era qualcosa da osservare, ed ecco che l’intero muro si costellò di minuscoli occhi che fissavano l’ispettrice e la sua interfaccia bio-umanoide.
«Possibile che il Killer abbia inscenato l’omicidio qui sentendosi gratificato dagli sguardi fissi e senza cervello di quello stupido muschio?» Domandò Pau.
«Sei tu che hai detto che per lui la gratificazione sta nell’esibirsi davanti alla telecamera. D’altronde, se fosse interessato a trasmettere un qualche tipo di messaggio intelligente ai suoi osservatori, non trasmetterebbe su StarCast. Rifletti: le ragazzine che ha ucciso non erano artiste di spessore, tutt’altro: erano adolescenti che si esibivano in spettacoli vuoti e privi di qualsiasi significato. L’unico obiettivo era essere viste. Ed è proprio quello che interessa al killer: essere guardato. Non essere capito. Non comunicarci qualcosa. Solo e unicamente “apparire”.»
Poe si lisciò i baffi con entrambe la mani.
«Questa ipotesi collima al 100%… ma non ci aiuta a trovare il nostro killer.»
«Oh, ma noi lo abbiamo già trovato. – Disse Keela, compiaciuta. – Il dipartimento di botanica-genetica di Europa tiene sotto controllo le colonie di spionio affinché non diventino infestanti. Quando uno spionio si “allarma” la colonia secerne una specie di ormone vegetale, il dipartimento rileva il segnale e attiva la monitorizzazione della zona da lassù.»
Keela indicò il cielo. Al centro della stazione orbitante, in quello che veniva chiamato “nucleo”, fluttuavano diverse strutture. Il nucleo era a tutti gli effetti una zona di assenza di gravità, ed era lì che erano stati costruiti parecchi edifici adibiti all’attività scientifica. Tra cui anche il dipartimento di botanica-genetica.
«Scommetto che i sistemi automatizzati di monitoraggio del dipartimento hanno filmato tutto lo show. Bisogna solo sperare che il killer, sicuro del fatto che lo spionio non poteva trasmettere ciò che vedeva a nessuno, non si sia preoccupato di coprirsi il volto.»
«C’è il 77% di probabilità che non l’abbia fatto, reputando liberatorio l’atto di esibirsi finalmente a volto scoperto.» Commentò Pau.
«È una buona percentuale.» Disse l’ispettrice.
«Non esistono percentuali buone né percentuali cattive, Keela. Solo percentuali.»
«Sai cosa voglio dire.» Lo rimproverò lei, incamminandosi.
«No, ma in base ai dati in mio possesso, c’è un 84% di possibilità che io lo supponga correttamente.» Le rispose Poe, fluttuandole dietro.

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