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Erano già trascorsi diversi anni dall’intervento, ma per Olga il tempo scorreva in maniera diversa rispetto alla percezione dei burattini. Burattino era chi era rimasto indietro, chi continuava a dipendere dal cibo e dall’acqua, dai bisogni fisiologici come dormire, andare di corpo, fare sesso, scaricare lo stress di tanto in tanto. Olga ormai dipendeva da una sola cosa: l’energia, l’elettricità che scorreva server mantenendoli attivi, nei refrigeratori per impedire che si surriscaldino, nei deumidificatori per creare l’ambiente ideale affinché i processori lavorino al massimo delle loro performance. Olga era digitale, completamente. Non aveva più un corpo. Aveva pagato salato il conto di quell’operazione, le era costato tutto ciò che aveva. E non era una metafora: aveva letteralmente pagato con tutti i suoi beni materiali. Gli immobili, i risparmi di una vita, auto, abbonamenti, gioielli, vestiti, carne, ossa, organi interni. Ogni cosa. A malapena il valore di quello che aveva ceduto copriva per vent’anni il costo dell’affitto delle unità di memoria necessarie a conservare la mappatura del suo cervello, ogni singola sinapsi neuronale. Milioni e milioni di piccoli collegamenti che in qualche modo definivano la sua coscienza. Ma Olga era ottimista, era sicura che avrebbe presto trovato un nuovo lavoro. La nuova umanità digitalizzata aveva dato il via a una nuova frontiera di professioni che i burattini non erano in grado di svolgere con la stessa efficienza. La gestione delle transazioni bancarie, degli affari in borsa, dei dati digitali, dei server, il media-management 2.0, la nuova segreteria elettronica avanzata. Con le loro goffe dita, o al massimo con delle interfacce neurali, i burattini non avevano chances nei confronti dei digitalizzati, che si muovevano ed agivano alla stessa velocità del flusso di dati. Per questo, anche se per i burattini erano trascorsi diversi anni da quando Olga aveva abbandonato le proprie spoglie mortali per trascendere come essere completamente etereo, per lei in realtà non erano trascorsi che pochi secondi. O forse milioni di anni. Il tempo non aveva più senso lì, nel nuovo mondo. E nemmeno lo spazio. E nemmeno la propria individualità, a ben pensarci. Olga trovò lavoro come responsabile dell’ottimizzazione dei turni all’interno del sistema di una catena di fast-food. Lavorava senza interruzioni, giorno e notte, tutto l’anno. Non aveva bisogno di dormire, mangiare, o andare in vacanza, né sentiva l’esigenza di farlo. Il ricordo di quei gesti, di quelle funzioni un tempo ricreative e appaganti sbiadì velocemente, senza che Olga provasse alcun rimorso nel dimenticarsene. Il tempo trascorreva, compresso, dilatato, differente. Ma scorreva. Olga divenne sempre più una funzione, un ingranaggio elettronico, una componente infinitesima del complesso meccanismo digitale che organizza, controlla e ordina il mondo. Il mondo dei burattini, ovviamente. E in cambio dei propri servigi otteneva più tempo di permanenza nelle memorie. D’un tratto, perse cognizione di quello che stava facendo. D’altronde non c’era bisogno di averne coscienza: era un algoritmo che si ripeteva all’infinito. Dati in entrata, elaborazione, dati in uscita. Poco tempo dopo, o forse molto tempo dopo, Olga ritenne inutile avere un nome. Proseguì per molto tempo, o forse per poco tempo dopo, a fare il proprio lavoro, senza chiedersi perché, come, quando aveva iniziato, chi era stata. I turni nei fast-food continuarono ad essere sempre organizzati alla perfezione, al massimo dell’efficienza. I burattini ne erano estremamente soddisfatti.

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