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«Lo vedete Patrizio? – Chiese Carradori ai quattro ragazzotti con l’aria annoiata che aveva di fronte. – Patrizio lavora per me da quindici anni. Quindici anni… – Ripeté – È tantissimo tempo… mi ricordo di quando era un giovanotto e faceva il buttafuori a quel club… com’è che si chiamava?» Domandò, senza voltarsi.
«Armadillo.» Rispose Patrizio. L’uomo dalla corporatura imponente, sulla cinquantina, sfoggiava un’espressione assente e una calma imperturbabile. Il volto era scavato da profonde rughe di espressione ai lati della bocca, labbra ampie, naso acciaccato (probabilmente rotto più volte) e folte sopracciglia nere. Le probabili striature di bianco nei capelli erano state coperti da una tinta scura, appena applicata. La rasatura era recente. La fronte ampia e asciutta, non stillava una goccia di sudore. Con le grosse dita callose schiacciava le bollicine su un lenzuolino di plastica da imbottitura. Era lento e procedeva una bollicina alla volta, cercandole con i polpastrelli e poi schiacciandole fino a farle scoppiare. Una dopo l’altra.

«Armadillo! – Esclamò Carradori, sollevando la mano al cielo. – La memoria non è più quella di una volta. –Mormorò. – Ma lui me lo ricordo. Lo vidi lì fuori, vestito di nero, braccia conserte e auricolare all’orecchio. Mi salutò con un cenno quasi impercettibile del capo, e io notai che non portava gli occhiali scuri. Non ce n’era bisogno, in effetti: erano le dieci di sera e il sole era tramontato da un pezzo! Però gli altri suoi colleghi li indossavano tutti… occhiali scuri di notte! Vi rendete conto? Cosa cazzo erano, dentro Matrix? – Esplose in una sonora risata che si interruppe troppo bruscamente per essere spontanea. – Era tipo l’uniforme standard dei buttafuori di quel locale… comprendeva tutto: completo nero, auricolare, occhiali… ma lui gli occhiali da sole non li portava. Gli sembrava una stronzata, capite? Una mascherata per incutere timore… una buffonata! Ecco perché mi colpì. Pensai: “questo pezzo di merda mi piace, è uno che se non condivide un modo di fare, se ne sbatte le palle”. È giusto, Patrizio?»

Germano Carradori, classe 1964, figlio di una sarta e di un fioraio. La bottega del padre era ancora lì, davanti al cimitero alla terza uscita della tangenziale. Adesso la gestiva uno dei suoi uomini più fidati, e assieme ai crisantemi, ai gerani e ai moccolotti votivi, presso quel casotto sgangherato circondato di piante e fiori si vendeva anche maria e fumo. Su richiesta, anche cocaina. Carradori ci era diventato ricco, grazie a quella bottega in periferia. E non grazie ai crisantemi, ovviamente.

«Insomma scusate se ci giro intorno ma voi ragazzi non siete proprio abituati ad ascoltare, oggi state tutti sull’internet o a giocare con quei cazzo di cellulari, non sapete cosa sia la pazienza, cosa sia un discorso… e nemmeno cosa sia un ammonimento.» Estrasse una Beretta dalla tasca della giacca e sparò in testa a uno dei ragazzi. Lo spruzzo di sangue dipinse di rosso il pilastro e la parete alle sue spalle. Il boato risuonò nel casolare per diverso tempo, echeggiando tra le mura vuote, in cerca di fuga attraverso le finestre chiuse. Patrizio continuò a scoppiare bollicine, indifferente sia al fragore che alle urla di terrore degli altri tre ragazzi. Uno di loro cercò di darsi alla fuga, ma Carradori sparò in aria e quel secondo colpo, che volutamente si conficcò tra le assi di legno del soffitto, funse da perfetto avvertimento. Il ragazzo che stava scappando si pietrificò sul posto. Si frugò addosso, in cerca di un foro di proiettile o di una macchia di sangue che si allargava sui vestiti attillati. Non trovò nulla. Si voltò indietro e altrettanto lentamente tornò al suo posto, in riga, di fianco agli altri due.

«Io lo faccio per voi. – Riprese Carradori, che stringeva ancora la pistola in mano ma non la puntava più verso i ragazzi. – Non siete abituati a stare a sentire, non siete abituati a carpire il senso delle parole degli altri. Siete degli analfabeti… non analfabeti… com’è che si dice, Patrizio, quando non capisci un cazzo di niente?»

«Analfabeti funzionali.» Disse Patrizio. E scoppiò di fila altre due bollicine.
«Esatto, quello! Non capite un cazzo! Uno vi parla, un po’ per metafore, mettendoci anche un minimo di impegno, e voi non capite un cazzo! – Disse Carradori, sgranando gli occhi. – Dopo due minuti state già coi pensieri altrove, e se anche Dio volesse che aveste seguito il discorso, non sareste in grado di capire di che cazzo stavo parlando. Non sapete più ascoltare, non sapete più decifrare i più semplici artifici retorici… con voi bisogna essere didascalici, bisogna spararvi in testa, altrimenti il cervello non vi si smuove mica!»

Sembrava che Carradori si stesse agitando. Patrizio, invece, continuava a scoppiare bollicine. L’indice della mano sinistra di Germano Carradori puntò verso la faccia di Patrizio, priva di qualsiasi emozione, e rimase fisso lì, a indicargli il naso, gli occhi, la bocca.
«A me piace quando i miei uomini dimostrano iniziativa! Non sono un cazzo di boss della mafia, non sono uno di quello che sta dietro una scrivania a dettare ordini ai suoi sottoposti e poi si aspetta a fine mese una borsa piena di mazzette da cinquanta euro! Mi piace Patrizio perché se a Patrizio non sta bene quello che gli chiedo di fare, mi dice “no, guarda Germano, non sono d’accordo e ti spiego perché”. E io se ho la possibilità lo ascolto, valuto i suoi suggerimenti. Se non ho la possibilità mi fido. Lo lascio fare. Se le decisioni che prende portano a risultati, lo elogio. Gli dico: “hai fatto bene a fare come cazzo ti pareva, perché vedi, così hai risolto la situazione, se invece facevi come ti dicevo io, forse non si risolveva niente!” Questo è il mio modo di fare, avete capito?»

I tre ragazzi in piedi, vicino alla cadavere del loro coetaneo, immerso in una pozza di sangue, non dissero nulla. E non si mossero nemmeno. Neanche un cenno del capo.

«OOOOH?» Gridò Carradori. «Ma che devo fare, spararvi in testa di nuovo? – Puntò la pistola verso i ragazzi. – Avete capito o no?»
Tutti e tre annuirono nervosamente.
«Lo vedete che con voi le cose vanno spiegate semplici, altrimenti il vostro cervello disintegrato dalla pleistescion e da iutubbe non le capisce? Allora andiamo al punto, visto che con voi una fucilata è meglio di mille discorsi. A me non frega un cazzo come gestite la roba che vi do, non sto qua a insegnarvi come si spaccia, dove, quando, a chi dovete spaccare la faccia per prendervi la zona e stronzate del genere. Siete voi che fate il lavoro. Io vi consiglio di farlo in un certo modo, ma poi siete liberi di fare il cazzo che vi pare. Non è perché avete fatto il cazzo che vi pare che siete qui, adesso. È perché il vostro modo di gestire le cose ha creato problemi, anziché risolverli! Avete perso un sacco di soldi, un sacco di roba, e non ci avete guadagnato manco il rispetto da parte degli spacciatori che vi hanno fatto il culo!»
Carradori scosse la testa, in un gesto teatrale di spossatezza. Non era da lui esibirsi in pantomime del genere, ma doveva essersi reso conto di aver esagerato. Sollevò la pistola, le dedicò uno sguardo veloce, poi allungò di nuovo l’arma lungo il fianco e sbuffò rumorosamente. Stava cercando di riprendersi dall’incazzatura, di smettere di sudare, di calmarsi. Avrebbe voluto essere come Patrizio, avrebbe voluto esibire quella freddezza, quella pacatezza, quel distacco. Udì scoppiettare qualche altra bollicina, e quello scoppiettio gli suggerì il da farsi. Fece un passo verso Patrizio e gli porse la pistola, dalla parte del manico.

«Facciamo a cambio. Tieni la pistola e dammi la plastica con le bollicine.»
Patrizio lo squadrò torvo.
«Dai, fanne fuori un altro. Così imparano bene la lezione. Scegli tu quale, per me sono tutti e tre dei coglioni.»
Patrizio continuò a fissarlo da sotto le grosse sopracciglia nere.
«Due li rimando a lavorare, due li accoppo. Era questa questa l’idea.» Ribadì Carradori.
«Non sono d’accordo.» Rispose pacatamente Patrizio, continuando a scoppiare bollicine.

«Come?»
«Non sono d’accordo.» Ripeté Patrizio.
«Su cosa non sei d’accordo, sull’accopparne un altro?»
«Esattamente. Secondo me hanno imparato la lezione tutti e tre. Quello più scemo l’hai fatto fuori, ed è stato un buon esempio. Credo che abbiano capito che con te non si scherza, Germano. Farne fuori un altro non cambierà nulla, tanto non possono avere più paura di così, e tu non ci perderesti che un altro venditore. No, non è una buona idea. Lasciali andare.»

Carradori sorrise e si passò la mano sinistra sulla pelata. Infilò la pistola nella tasca della giacca, poi annuì con forza, stringendo le labbra. Era il suo modo per dire: “hai ragione, porca troia”. Ovviamente non lo disse, lasciò che Patrizio lo intuisse. Patrizio sapeva leggere tra le righe, era sveglio, non era un analfabeta… pro… fun… vabbé, non era un coglione.
«Sparite, dai.» Disse voltandosi verso i ragazzi. Quelli scapparono via come lepri di fronte a una volpe.

«Però pulisci tu.» Aggiunse, stavolta rivolgendosi a Patrizio.
«No, ci penserà Carlo coi suoi ragazzi. Come sempre. Sono bravi.» Gli fece l’altro.
«Che cazzo, hai ragione.» Concluse Carradori. Poi entrambi si diressero verso lo spiazzo sul retro del casolare, dove avevano lasciato le auto.

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