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L’androide digitò la combinazione dell’armadio di sicurezza, lo aprì, estrasse la pesante cassa da uno dei vani interni a la poggiò su uno dei tavolini laminati alle sue spalle. La cassa era lucida, metallica, sigillata. Un display su uno dei lati riportava la temperatura e la composizione atmosferica interne. L’androide esaminò fugacemente il display, quindi aprì la scatola, sbloccando un paio di serrature prive di combinazione. Rimosso il coperchio, inquadrò con le camere oculari la serie di fiale all’interno. Ne sfilò una e la incastrò tra le placche d’acciaio del proprio addome, tra due guarnizioni di gomma e alcuni cavi. Richiuse il coperchio, rimise la cassa nell’armadio, chiuse le ante e si assicurò che la serratura fosse scattata prima di dirigersi verso l’uscita del laboratorio.

«Ecco il composto 868.» Disse con voce sintetica l’androide. Il dottor Shiro prese la fiala dalle dita del servitore sintetico e lo congedò. Attese che l’androide tornasse al suo posto, nella postazione di ricarica in fondo al corridoio, quindi stappò la fiala e la sollevò all’altezza del naso. Solo in quel momento si rese conto che non avrebbe mai più visto sua figlia, sua moglie, il suo cane Charlie e nemmeno Ylenia, la sua amante russa. Strinse gli occhi trattenendo le lacrime e mormorò qualche parola per darsi coraggio. Quindi bevve tutto d’un fiato il contenuto della pozione. Se non fosse stato tra i luminari che avevano contribuito a creare quel composto, sicuramente sarebbe stato meno consapevole di quello che stava vivendo in prima persona. Il proprio corpo mutò a livello molecolare, infliggendogli dolori inimmaginabili. Si trascinò nel vivaio, prima che le reazioni fisiche e chimiche scatenate all’interno del proprio corpo finissero per auto-consumare ogni brandello della sua carne. Aperta la porta del vivaio fu investito dall’aria carica di vapore e dall’odore di terra. C’erano più di cento colture diverse in quella grande serra, piante che venivano studiate per aumentarne la produzione e la resistenza. Nessuna di quelle piante sopravvisse. Il corpo del dottor Shiro, tormentato dalla trasformazione del composto 868, era come una spugna secca assetata di materiale organico. Ogni cellula vivente all’interno del vivaio fu assorbita, smantellata, rielaborata e integrata con il suo corpo. Quando sollevò la testa e sfondò il soffitto del laboratorio, realizzò che forse ce l’avrebbe fatta.

Il drago bicefalo che era emerso dall’oceano ormai aveva completamente distrutto il quartiere portuale e avanzava lentamente verso i grattacieli lucenti della zona commerciale. Alto cinquanta metri e lungo trecento, a causa dell’enorme mole a malapena riusciva a sollevare la massa del proprio corpo, quindi perlopiù strisciava, spingendosi in avanti con l’addome a terra grazie le sue sei zampe, simili a quella di un mastodontico coccodrillo. Nulla di ciò che incontrava restava in piedi: la mole della creatura era tale da distruggere e seppellire sotto il proprio peso qualsiasi struttura. Le due teste si ergevano sopra spalle muscolose, sorrette da colli tozzi ma sufficientemente lunghi da permettere alla creatura di ruotare entrambi i musi in qualsiasi direzione. Le bocche erano relativamente piccole rispetto alla testa, e i denti che spuntavano dalle gengive senza labbra della creatura, grandi abbastanza da superare in lunghezza un autobus, somigliavano più alle spine di un istrice che alle zanne di una creatura carnivora. Infine, una serie di occhi neri e privi di pupilla tempestava ognuna delle due teste. Ogni occhio era incastonato all’interno della pelle squamosa del drago, pertanto era difficile riuscire a distinguerli, ma quando ci si accorgeva della loro esistenza, le due teste bitorzolute e irte di occhi dell’immensa creature rassomigliavano a quelle di un aracnide. Il drago stava per spingersi contro una torre di cinquanta piani quanto da uno dei capanni dell’industria farmaceutica Takara emerse il professor Shiro. Ormai ben poco di lui era rimasto: un gigante bipede alto come un palazzo e largo quasi altrettanto. La pelle era traslucida come il corindone screziato di giallo, un mosaico di pietre brillanti che riverberavano sotto il sole. Le braccia del gigante erano lunghe e muscolose, enormi e sproporzionate. Le movenze sembravano quelle di un gorilla colossale, ma un gorilla rivestito di topazi.

I rettiliani della luna sulfurea di Hagoz osservavano la scena dalla loro nave, nascosta all’interno di nubi olografiche, alta nel cielo sopra la città. Videro il gorilla-Shiro scagliarsi con forza contro il drago-tarantola e tempestargli il corpo di poderosi colpi. Ogni pugno scatenava un boato tale da far esplodere tutte le vetrate degli edifici nel raggio di diverse centinaia di metri. Il drago-tarantola non durò a lungo. Non era abbastanza intelligente da capire davvero cosa stesse succedendo. Era stato risvegliato dai rettiliani solo poche ore prima, investito da radiazioni, raggi ad energia concentrati e iniezioni di materia. Non ricordava nemmeno cosa fosse stato prima di quel momento, e nessuno dei due cervelli che possedeva era in grado di elaborare una reazione alla tempesta di pugni, duri come il diamante, che gli stava piovendo addosso. Il gorilla-Shiro abbatté una delle due teste assestandogli contro l’ultimo cazzotto, poi spostò l’attenzione sull’altra, che stava tentando di masticarlo ma senza successo. Il rettiliano più giallo di tutti balzò in piedi al centro della plancia di comando e iniziò a tuonare ordini in direzione dei suoi sottoposti. Non gli piaceva affatto quello che stava vedendo. L’equipaggio emise sibilii di disappunto e numerose lunghe lingue guizzarono fuori dai loro crani allungati, cercando di giustificare il fallimento del piano. Uno di loro azionò un meccanismo a forma di tramezzino e un fulmine piombò giù dal cielo con gran fragore, colpendo il gorilla gigante. Molti rettiliani sollevarono le code e spalancarono le fauci in segno di tripudio per quella mossa. La folgore aveva praticamente esaurito l’energia della nave, ma sembrava aver messo fuori combattimento il gorilla-Shiro. Il gigante di topazio, folgorato, era saltato via crollando sopra un parcheggio. La sue struttura molecolare, ora carica di energia, non riusciva a trovare materia da ricombinare. Shiro stava morendo.

Fortunatamente, anche il drago stava morendo. La sua breve esistenza, durata poche ore, era servita ai rettiliani a spargere terrore sui terrestri, ma non abbastanza da poterli soggiogare e trasformare l’intero pianeta in una colonia di Rettilia IV. Il rettiliano più giallo tuonò una serie di ordini nella lingua gutturale della sua specie, e la nave abbandonò velocemente l’atmosfera con quel poco di energia che le rimaneva.

Gorilla-Shiro, eroe e salvatore della Terra, si spense lentamente. Il dottor Shiro, a malapena cosciente all’interno di quel corpo abnorme, osservò la scia di luce lasciata dal veicolo interstellare rettiliano mentre scompariva in cielo, e si abbandonò all’oblio. Il suo ultimo pensiero fu per Charlie. Rapidamente la stabilità del corpo di corindone venne meno, e l’intera impalcatura molecolare collassò trasformandosi in un centinaio di tonnellate di topazi, che ruzzolò rumorosamente attorno, spargendosi per tutto il parcheggio. L’amministrazione comunale apprezzò quel regalo inaspettato, e gran parte delle ricchezze ricavate dalla vendita delle pietre preziose furono usate per finanziare gli ingenti lavori di ricostruzione della città.

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