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La pozione blu. La pozione blu. Ma quale cazzo era la pozione blu?

Grumo scrutava il tavolo del laboratorio con sopracciglia aggrottate e bocca arricciata. Non si trattava di un tavolo particolarmente disordinato, c’erano in tutto una mezza dozzina di ampolle dalla forma allungata e spesso decorate con ornamenti metallici. Ma nessuno dei flaconi aveva un’etichetta.
«Portami la pozione blu! La pozione blu!» Gli aveva ordinato il maestro. Ma c’erano solo pozioni blu sul dannato tavolo! Grumo le dispose in fila e le osservò di nuovo. Il liquido all’interno aveva più o meno la stessa tonalità in tutte le bottiglie, e seppure qualche piccola variazione cromatica poteva essere osservata, poteva benissimo trattarsi della smerigliatura del vetro o delle impurità nel flacone, giacché il soffiatore non aveva di certo usato per tutte la stessa miscela di minerali… persino l’artigiano che aveva modellato i contenitori poteva non essere stesso! Dunque il contenuto avrebbe potuto essere per tutte le pozioni lo stesso. Ma in tal caso, perché il maestro avrebbe specificato di prendere la pozione blu? Avrebbe potuto dire “prendi una delle pozioni sul tavolo del mio laboratorio” e basta. Invece aveva proprio detto “la pozione blu”. E lo aveva ripetuto due volte! La pozione blu, la pozione blu! Quindi il liquido all’interno delle boccette doveva avere un qualche effetto importante. Grumo stava già valutando di assaggiarne il contenuto, ma c’erano più di un motivo per il quale alla fine decise che non fosse una buona idea: innanzitutto bere anche solo un poco del liquido blu avrebbe potuto avere effetti devastanti. È vero, la maggior parte delle pozioni magiche non ha effetto a meno che non se ne ingerisca una quantità precisa, ma in alcuni casi l’effetto del liquido è immediato. Forse non si sarebbe trasformato in un topo, ma avrebbe potuto congelarsi la lingua, o darsi fuoco alle labbra, ad esempio. Per lo stesso motivo, quel sorso avrebbe potuto compromettere la quantità necessaria di liquido affinché la pozione avesse effetto, e quindi sarebbe stata inutilizzabile dal maestro. In secondo luogo, non aveva idea di quale effetto stesse cercando. Sul tavolo del maestro c’era una fata ferita da una freccia oscura, e il maestro stava cercando di salvarle la vita, ma ben più di un effetto magico poteva essere risolutivo: una pozione che richiudesse le ferite, una pozione che addormentasse la fata per poterle rimuovere la freccia dal costato, una pozione che allontanasse gli effetti oscuri, una pozione che dissolvesse il metallo all’interno del corpo… o anche una pozione che donasse la capacità di intervenire al suo maestro! No, troppe opzioni, Grumo non avrebbe potuto discernere l’effetto cercato dal suo maestro giusto bevendo un sorso da ogni bottiglia. E infine: le bottiglie erano accuratamente sigillate. Ogni tappo era stato chiuso con della ceralacca, affinché il contenuto non fosse alterato dal contatto con aria diversa rispetto a quella intrappolata nel vetro. Aprendo una o più delle ampolle per saggiarne il contenuto, Grumo le avrebbe esposte all’atmosfera del luogo, facendo perdere loro efficacia o… peggio. Scosse la testa. Tornò a scrutare le ampolle. L’aver posto attenzione ai tappi gli fece notare che su ognuno dei sei sugheri era stata riprodotta la figura di un uccello diverso. La piccola scultura era metallica e non finemente dettagliata, ma la fattura era buona a sufficienza da distinguere un uccellino dall’altro. Erano tutti diversi, in effetti. Certo, anche questa avrebbe potuto essere una caratteristica infusa alle decorazioni da un artigiano particolarmente creativo. Ma forse i tappi erano stati commissionati in quel modo proprio per rappresentare un diverso uccello su ogni flacone, e così distinguerli. L’uccello raffigurato su ogni tappo poteva addirittura essere un indizio sul contenuto! Grumo prese due delle bottiglie, impugnandole ognuna in una delle sue piccole mani ossute. L’uccello raffigurato sul tappo della prima sembrava… un tucano. O un picchio. O forse un martin pescatore. Aveva il becco lungo, dritto, e la coda corta. Quello sulla seconda sembrava più un ibis, o una gru… o comunque un uccello dal becco curvo e con le gambe lunghe, anche se raffigurato con gran parte delle gambe che “affondavano” nel tappo stesso. Lanciò un’occhiata alla terza bottiglia, a quello che sembrava un piccolo gufo. Poi alla quarta, dove c’era forse un pappagallo. Non aveva alcun senso. Se anche il pappagallo poteva indicare una pozione di loquacità, o di conoscenza delle lingue, che cosa poteva indicare un tucano? O un’ibis? E poi a cosa poteva servire, al suo maestro, in quella situazione, una pozione di loquacità, o una della conoscenza delle lingue? Dannazione, non ne sarebbe mai venuto a capo continuando a rimuginarci sopra. Estrasse il lembo della camicia dai pantaloni, lo rigirò e iniziò a caricarci sopra tutte le bottiglie. Con il fagotto pieno di ampolle azzurre si voltò e tornò nella stanza dove aveva lasciato il maestro con la fata.

Immaginate la sua sorpresa quando, entrando nella sala, trovò il maestro e la fata che limonavano duro. Si impietrì, irrigidendo la schiena, e le bottiglie che teneva nel fagotto tintinnarono. Il maestro staccò le labbra da quelle della fata, accorgendosi che il suo allievo era tornato.
«Non sapevo quale pozione blu intendesse, maestro… – Balbettò Grumo. – …quindi le ho prese tutte quante.»
«Oh, grazie. – Balbettò il maestro, visibilmente imbarazzato. – Lasciale pure qui, su quella mensola di legno. Io e Calendula ci stavamo… uhm… raccontando dei bei tempi passati insieme, quando ero più giovane. Credo che… ne andremo a discutere in camera.»
Grumo corrucciò la fronte.
«E la freccia oscura con la quale era ferita?»
«Risolto! Tutto risolto! – Sorrise il maestro, paonazzo in volto. – Era una cosa da poco. Ho lanciato una magia che dissolvesse la maledizione, e l’ho estratta. Guarda, è rimasta solo la cicatrice!»
Il maestro afferrò uno dei polsi sottili di Calendula e lo sollevò in alto, rendendo visibile il costato sotto il braccio. Laddove il vestito era lacerato e si intravedeva la pelle bianca della fata, Grumo scorse una cicatrice ancora arrossata e circondata da qualche goccia di sangue incrostato, ma nulla di più. Notò invece la freccia oscura, appoggiata sul tavolo dove era seduta la fata, la punta coperta di sangue, con blandi fumi di ombra che ancora le spiraleggiavano attorno.
«Quindi… la pozione blu non vi serviva? Era solo per farmi uscire dalla stanza?»
«Ma no, cosa dici! – Tentò di giustificarsi il maestro, mentre Calendula già stanca delle chiacchiere aveva iniziato a baciargli delicatamente il collo. – Anzi, avrei bisogno anche di un flacone o due della pozione paglierina… dovrebbe essere in cantina, dentro un baule arrugginito… vicino alla porta trovi il mazzo di chiavi, cerca quella giusta… io… ora vado… quella paglierina, mi raccomando!»
Le ultime parole del maestro furono pronunciate mentre già lui era scomparso oltre le tende che conducevano alle sue stanze, con la fata tra le braccia. Grumo restò qualche minuto lì, immobile, con le sei pozioni blu nel risvolto della camicia. Il rumore di baci e di effusioni amorose lo raggiunse molto presto.
«Ma vaffanculo.» Disse. E lasciò cadere tutte le ampolle a terra.

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