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Quella volta provai a chiudere gli occhi, tenerli serrati e rivolgere lo sguardo al sole. Il calore sul volto, tiepido sul naso, forte sulle gote e sul mento, non era che uno dei segnali che il mio volto puntava proprio verso di lui, alto in cielo e fiero nel pieno del suo vigore. Lasciai che la brezza del mare mi scompigliasse leggermente i capelli, portando un minimo di refrigerio alla pelle e lasciando sulla punta del mio naso quell’odore acre di alghe essiccate che erano stese sulla sabbia rovente, troppo distanti dal bagnasciuga. Attraverso le palpebre, vedevo rosso. Sapevo che era merito dei vasi sanguigni, che filtravano la luce concedendo ai miei occhi solo un barlume rossastro, ma era comunque una luce calda, intima, confortante. Lasciai che mi avvolgesse. Ero come un piccolo corpo avvolto in un abbraccio caldo. Mi sovvenne l’immagine di un bambino, non ancora nato, che galleggia sereno nel ventre caldo di sua madre. Mi sentii al sicuro, lontano dalle preoccupazioni quotidiane. Persino i suoni mi sembravano provenire da un’alto luogo, da una dimensione distante, distorti da una membrana invisibile che in qualche modo li attenuava e li rendeva innocui, deboli, incapaci di percuotere i miei timpani con la normale forza. Il battito del mio cuore riusciva a competere con loro, persino li sovrastava. Il cuore batteva con ritmo pacato, risuonando al mio interno, e il suo pulsare entrava in risonanza con il fragore lontano delle onde, lo sciabordio dell’acqua sugli scogli, le risate dei bambini, il verso dei gabbiani in cielo. Rosso intorno a me, rosso dentro le mie vene. Percepii nuovamente la brezza che risaliva dall’acqua, e scivolando sulla sabbia mi portava il sapore della salsedine sulle labbra. Schiusi gli occhi e fu come se un velo di azzurro si fosse posato sul mondo, rendendolo più cupo e meno gioioso. Ogni cosa era meno luminosa adesso. E una zanzara mi stava pungendo sulla coscia.

 «Ma li mortacci tua…» Esclamai, schiaffeggiandomi. Lei volò via.
«Che succede, amo’?»
«Ma niente, ‘na stronza de zanzara…»
«Aspetta.»
«Cosa?»
«Tié, mettece questo, serve pe’ quanno te pungono. Te leva er prurito.»
«Eh, vabbé, ormai è fatta. M’ha punto.»
«Fa ’n po’ come te pare.»
«Oh, davvero… stavo ‘na crema. M’è dovuta veni’ a rompe li cojoni…»
«Dai, rimettete giù, che fra n’oretta tocca annà via che ce aspetta mamma.»
«Sai che c’è… Me sa che ‘nvece me vado a pià n’calippo… Ne voi uno?»

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