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Le ombre delle lapidi si allungavano sul prato tagliato in giornata. Il sole si abbassava all’orizzonte e Gioia continuava a girare tra le sculture, le croci e le steli del cimitero monumentale, senza alcuna voglia di tornare a casa. Sapeva benissimo che anche se si fosse incamminata ora, non sarebbe giunta alla porta di casa prima di notte, perché il cimitero era piuttosto distante dalla sua angusta dimora, e a piedi occorreva più di un’ora per risalire le colline lungo la strada sterrata, fino alla chiesa di Santa Maria, il primo edificio di Vagagno. Lì viveva la sua famiglia adottiva, due sconosciuti i cui vestiti profumavano sempre di lavanda e i cui colletti erano sempre perfettamente inamidati. Suo padre adottivo amava imbrattarsi la peluria del volto con costose pomate, sua madre si alzava dal letto ogni mattina solo per sedersi nella sala da pranzo e dedicarsi al cucito e alle chiacchiere, con le sue cugine e l’anziana suocera. Le pareti di quella casa erano sature di rumori scomposti e innaturali: grida di monelli, cozzare di stoviglie, scricchiolare di assi di legno, bollire di acqua sul fuoco, campanelli di biciclette, colpi di fucile, risate, nitriti, porte che si aprono e si chiudono. Gioia era stata accompagnata in quella cosa da poco più di un mese, abbandonata da sua zia, l’unico parente che le era rimasto, costretta a circondarsi di atmosfere lontane dal confortevole. Nel cimitero, invece, tutto era al suo posto. L’unica voce era quella del vento, che sollevava steli d’erba in alto nel cielo mentre lisciava le pietre. Di tanto in tanto, quell’unica voce era interrotta dal gracchiare di un corvo, o dal frinire di un grillo, ma erano suoni che duravano molto poco, come se il rispetto del silenzio fosse un valore condiviso da tutti, e da tutto. Gioia camminava da ore tra le tombe, e ogni sentiero di terra battuta che si snodava nel cimitero le sembrava di averla già percorsa decine di volte, ma non si stancava mai di attraversare quegli spazi grigi, delimitati da pietre squadrate, muschi, licheni, foto sbiadite e finimenti metallici corrosi dalla ruggine. Ogni volta che giungeva alla fine di una via, trovava conforto nella decisione di voltare a destra o a sinistra, o in alcuni casi di continuare dritta. Le tombe sulle quali era incastonata una cornice con una foto erano rare, giacché le fotografie erano costose, ma davano personalità alle lapidi. Si sarebbe potuto dire che la lapide fosse serena oppure imbronciata semplicemente osservando l’espressione della persona che vi era sepolta. Il più delle volte i ritratti mostravano volti con gli occhi spalancati, baffi folti, capigliatura rada, oppure facce tonde e guance piene, con i capelli nascosti da un fazzoletto. Quando non era presente alcuna foto, Gioia leggeva i nomi e cercava di indovinare l’umore della lapide. Una croce poteva essere triste se vi era sepolta Mara Carassai, o felice se custodiva un Armando De Risi.
«Amara. Amando.» Canticchiava, proseguendo tra le tombe.
Il sole scivolò oltre le montagne, inghiottito da profili bruni che si stagliavano all’orizzonte, e l’ombra portò con sé il freddo della sera. Gioia continuò a non provare alcun desiderio di tornare a casa. Non temeva il freddo, né la fame, non aveva nostalgia di quelle mura estranee, di quel letto troppo morbido, di quelle coperte troppo calde. Vagò sporcando le scarpe di fango finché la luce del tramonto non mutò nel pallore della notte, finché le prime stelle non apparvero in cielo, finché la sua ombra non fu stagliata sulle croci dalla fioca luce della luna. A quel punto fermò il dondolare delle trecce e il sollevarsi della gonna, smise di sorridere e unì le gambe drizzandosi quasi sull’attenti. Deglutì forte e strinse i pugni tastando con la punta delle dita i palmi sudati delle mani. Alzò lentamente lo sguardo. Lanterne si radunavano oltre il cancello del cimitero, all’inizio un paio, poi tre, quattro, sempre di più. Quando il cancello di metallo si aprì, le lanterne sciamarono dentro come faville. Ogni lanterna era sorretta da una persona, ogni persona era incappucciata e gemeva debolmente. Ogni gemito era affannoso, come se qualcosa stringesse con forza altalenante le loro gole, bloccando a tratti il respiro all’interno dei corpi ricurvi. Gioia restò immobile, in silenzio. Sapeva che si trattava sei suoi genitori adottivi, sapeva che la stavano cercando. Non solo i suoi genitori adottivi, ma anche i suoi zii acquisiti, i fratellastri, le sorellastre, le cugine e forse anche la vecchia madre del suo padre non vero. Erano tutti preoccupati per lei, e non vedendola tornare avevano deciso di scendere lungo la strada sterrata, oltre la chiesa di Santa Maria, e di cercarla presso il cimitero di Vagagno, dove Gioia amava trattenersi. Strana, macabra, raccapricciante, bizzarra, svampita, ridicola, sciocca. Ognuna di quelle persone l’aveva criticata perché Gioia non aveva dimostrato di apprezzare a sufficienza la vita agiata che le era stata offerta. Sembrava che preferisse tornare a casa di sua zia, in città, o magari finire in un orfanotrofio. Ingrata. Ma adesso la cercavano, il suo nome era gridato ai quattro venti in modo ripetitivo e ossessivo, la cacofonia risultante disturbava il vento e allontanava gli uccelli neri dai rami degli alberi. Gioia. Gioia. Gioia si abbassò e abbracciò le proprie ginocchia. Si rivolse agli spiriti e ai santi che vegliano su di loro, affinché nessuno vedesse, nessuno la trovasse. Mai più.
Un grido. Un secondo grido. Un terzo grido. Lamenti, gemiti, pianti. Altre grida, rumori indistinti, vociare di uomini e donne disperate. Avevano trovato qualcosa, in un angolo del cimitero. Un corpo, appoggiato ad una stele di pietra, una ragazza priva di vita, uccisa dal freddo, dalla fame, dagli stenti, o forse semplicemente stanca di respirare. Qualcuno aveva preso il corpo, altri si stringevano attorno a chi piangeva più forte. Scorse il volto del suo padre adottivo, con gli occhi arrossati e un fagotto tra le braccia. Scorse sua madre adottiva, piegata in due dal dolore, come se avesse perso un figlio vero. Rapidamente, così come erano venute, le lanterne si raccolsero davanti al cancello del cimitero e dopo averlo chiuso, si dispersero. La notte tornò silenziosa, le tombe tornarono ad essere accarezzate dal vento. Gioia si alzò in piedi e si spolverò la gonna. Sorrise. Avevano trovato il corpo di una ragazzina, ma non si erano accorti di lei.

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