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Il sentiero per l’altare era tutt’altro che semplice da percorrere. In pochi si avventuravano lassù, una o due volte l’anno se il tempo era clemente e la necessità di parlare con il dio dei mari era davvero tale. Il percorso era spazzato da venti gelidi anche in piena estate, la salsedine incrostava le rocce e bagnava le pietre, le onde talvolta raggiungevano le zone più esposte del tragitto. C’era la possibilità di precipitare nella scogliera, essere risucchiati dal mare e scaraventati contro le rocce.

Daven scivolava con passo attento tra gli arbusti, cercando di evitare che il mantello di lana cotta gli si impigliasse tra i rami spogli e le rocce aguzze. Il cielo grigio si era aperto lasciando tagliare da lame di luce il mare scuro. Gabbiani volteggiavano sulla sua testa, emettendo il loro verso sgraziato come a volerlo minacciare di morte. Impugnava nella mano sinistra il martello del potere, avvolto di energia magica al pari di una stele runica nel giorno di mezza estate. La luminescenza emanata dal metallo gli scaldava le nocche, e quel calore lo rassicurava sul fatto che il suo pellegrinaggio non fosse inutile.

Infine giunse sull’altura a strapiombo sul mare, circondata da larici siberiani e da selci nere disposte minuziosamente a indicare la sacralità del luogo. L’altare non era altro se non un blocco di basalto scuro giunto lì chissà come, forse trasportato dai giganti in un epoca remota, quando gli dei calpestavano questo suolo comandando il tuono e il vento. Daven abbassò la maglia scoprendo la barba rossiccia e il naso rosso. Rivolse lo sguardo al cielo e invocò la quiete, affinché il rituale potesse aver luogo. Le sue parole si dissolsero nell’aria e non ottenne risposta se non il fragore delle onde. Raggiunse l’altare, vi depose i sacchetti di lino contenenti ossa antiche ed erbe magiche. Percepì la terra vibrare sotto i suoi piedi, scossa dal tremore degli gnomi. Estrasse il martello del potere e lo sollevò di fronte a sé. Il metallo rifulse di un riverbero argenteo, mistico, che si espanse oltre il visibile raggiungendo l’orizzonte. Daven riprese la sua cantilena. Sapeva che avrebbe dovuto ripeterla molte volte, prima che il dio del mare vi prestasse ascolto, perché gli dei erano pigri e il tempo non era certo un loro cruccio.

Giunse la notte scacciare il cupo imbrunire. Il gelo morse le braccia di Daven e fu costretto ad avvolgersi nel mantello, ma non indietreggiò di un passo. Le stelle ruotarono lentamente e il carro di Hel raggiunse il suo apice. Infine, quando i primi chiarori dell’aurora andavano a imbiancare l’orizzonte, la creatura apparve. Emerse a trecento passi dalla scogliera, sollevando onde che andarono a schiantarsi contro le rocce, scuotendole. Si trattava di un drago, sicuramente. La sua bocca era tanto enorme da poter inghiottire trenta uomini, e il battito del suo cuore era tanto fragoroso da poter essere udito persino a quella distanza. Daven non aveva paura, sapeva di non doverne dimostrare. Sollevò ancora di più il martello sacrò e affrontò le raffiche di aria gelida che gli scostarono il cappuccio dalla fronte. Il dio del mare emise una nube di vapore denso dalle branchie, quindi si chinò verso l’altare e pronunciò queste parole:

«Di quale futuro vuole essere a conoscenza chi brandisce il martello del potere?»
La sua voce era profonda e assordante, se fosse stato più vicino Daven sarebbe di certo impazzito. Rispose, e le sue parole in confronto erano squittii, sovrastate dal fragore degli elementi, impossibili da ascoltare per chiunque tranne che per un dio.
«Cosa… mi preparerà… mia moglie Sigrid… domani… per cena… per festeggiare il mio ritorno?»

Il vento stormì le conifere. Il cielo fu segnato dai fulmini. I gabbiani tacquero.
«Zuppa di cipolle e porri.» Rispose il dio.
«Ah… buona.» Commentò fra sé e sé Daven. Abbassò il martello e se lo appese alla cintura. Il dio del mare lo osservò immobile mentre raccoglieva le offerte dall’altare, tutte tranne una.
«Le spezie te le lascio. Tanto hanno preso l’acqua, mi sa che non sono più buone.»
Daven sollevò il cappuccio sulla fronte e strinse il collo di lana attorno alla gola. Fece un gesto, come per salutare rispettosamente il dio, ma le parole della torreggiante creatura lo raggiunsero prima che potesse indietreggiare.

«Io posso garantirti visioni del futuro, della vita oltre la tua vita, della gloria o dell’infamia che spetterà ai tuoi figli, e ai figli dei tuoi figli. Posso predire l’esito delle battaglie, le sorti dei tuoi nemici, l’avvento delle piaghe. Posso persino svelarti quando il fuoco della passione si spegnerà nel cuore di tua moglie, e se la tua vita ti concederà la benedizione di altri amori. Non hai altro da chiedermi, Daven Arenson, della stirpe di Bjarni, figlio di Fathi?»

«No…» Tentennò Daven. «Davvero. Va bene così.»
Un fulmine illuminò il volto basito del dio del mare.
«È che… questa cosa del rituale e dell’evocarti… – Proseguì l’uomo. – È più una cosa da mio nonno. Senza la sua approvazione non potrei garantire un buon futuro ai miei figli, perché è lui che gestisce i turni di pesca nello Scagerrak e io vorrei che divenissero dei buoni pescatori. Ma non mi interessa conoscere il futuro. Quella è roba da… posso dirlo? Presuntuosi. La cosa più bella del mondo per me è rientrare a casa e venire accolto dagli abbracci dei miei cari, e dall’odore delle teste di pesce nelle ciotole. E poi spezzare del pane fresco, avvolgermi tra le pellicce di montone e attendere che mia moglie scaldi il letto col suo corpo. Oh! Mi diverte anche il lancio dell’ascia, quando c’è la sagra annuale del villaggio e si festeggia il ritorno delle acque pescose a primavera. Si bevono un sacco di pinte di buona birra, e si ride molto assieme ai miei amici. Così ci si dimentica un po’ di quanto sia dura la vita, il lavoro, e di come il freddo ci faccia perdere le dita durante l’inverno.»
Fece una pausa, perché si sentì un po’ in imbarazzo a dover spiegare certe cose a un dio, che peraltro aveva il dono della preveggenza e quindi non era completamente all’oscuro di tutto ciò. Si rese conto che il martello brillava ancora, scaldando l’aria attorno a sé.
«Questo me l’ha dato mio padre, Aren. Lui mi disse che suo nonno aveva abbattuto un troll e che glielo aveva rubato. Te lo lascio qui, così se per caso lo vedi, glielo restituisci. Non so se il troll è morto, magari però conosci suo figlio… o suo nipote. Comunque sei un dio, sicuramente è più facile che lo incontri tu. Ciao.»

Tornò indietro e appoggiò il martello ai piedi dell’altare, poi si strinse addosso la cappa e volse le spalle al dio, scomparendo tra gli alberi senza altre esitazioni. Sperando di non schiantarsi in mare durante il ritorno, decise che prima di rincasare avrebbe fatto una visita all’emporio di Thialfi, per prendere un paio di ciotole d’orzo da aggiungere alla zuppa di cipolle. Sua moglie avrebbe apprezzato il gesto, ne era certo.

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