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«È davvero necessario?» Domandò Vincenzo Borghetti, rivolto all’appuntato suo collega. I due carabinieri erano appena tornati alla loro auto di ordinanza, scura come la notte durante la quale era scomparsa Mariarosaria, benché segnata dalla tipica striscia rossa orizzontale che rendeva immediatamente riconoscibile la gazzella di pattuglia.
«Lo chiedi a me? Secondo me è una perdita di tempo, ma non possiamo fregarcene. Quello potrebbe andare in giro a dire che non l’abbiamo voluto ascoltare, e ci procurerebbe ancora più rogne. Vagli a fare due domande, così se ne sta buono e ci lascia lavorare.»
Per rispondere a Borghetti, Serantoni aveva sollevato la penna dal foglio che stava compilando, e impiegò qualche secondo prima di ritrovare l’ultima casella che aveva riempito. Si trattava di una denuncia di scomparsa, sulla quale stava aggiungendo tutti i dati necessari affinché fosse inoltrata, ma che sarebbe divenuta effettiva solo fra molte ore. A tutti gli effetti, la giovane figlia dei coniugi Fusco, Mariarosaria, era scomparsa da poco. In base alle deposizioni appena registrate, Giampiero Fusco, suo padre, si era accorto che la stanza della figlia era vuota solo al risveglio, mentre si accingeva ad uscire di casa per andare al lavoro. La porta della stanza di Mariarosaria era socchiusa, e una lama di luce illuminava il corridoio correndo dritta fino alla porta del bagno. Giampiero aveva attraversato quella luce e pensato che Mariarosaria si fosse addormentata lasciando la luce della lampada accesa. Aprendo silenziosamente la porta, si era accorto che della figlia non c’era traccia, tranne per una spazzola per capelli a terra. E per il solito bordello di vestiti sparsi ovunque.

«Salve. Lei è stato testimone di un rapimento?» Chiese Borghetti. Era entrato in servizio da poco, e non sapeva bene come muoversi, ancora. Aveva tuttavia l’impressione che non esistesse una scuola precisa, per quelle situazioni.
«Sì, io ho visto tutto.» Rispose l’uomo seduto sul muretto. Pantaloni sdruciti, camicia sbottonata, maglietta bianca con qualche strano disegno sbiadito stampato sopra.
«Il mio collega dice che si è avvicinato a lui, quando è uscito da casa dei coniugi Fusco, dicendo di aver visto chi ha rapito Mariarosaria. È vero?»
«Sì, io ho visto tutto.» Ripeté l’uomo, facendo ondeggiare il naso. Aveva occhi piccoli, sopracciglia folte e la crapa pelata cotta dal sole. Vincenzo sospirò e tirò fuori una piccola agendina sulla quale era solito appuntare le dichiarazioni dei civili, di tanto in tanto, quando era in servizio. Roba che probabilmente non sarebbe mai stata messa agli atti, diciamo.
«Lei si chiama?»
«Aristotele. Aristotele Mancini.»
«Va bene. Mi racconti.»
«Ecco io… non credo che ci sia niente di male, però… non vorrei aver commesso qualche crimine… quindi non so se posso raccontarle proprio tutto.» Bofonchiò.
«Guardi, è stato lei ad avvicinarsi e a voler lasciare una deposizione, se non se la sente…»
«No, no. Me la sento. – Esclamò Aristotele. – È solo che…»
«…che?»
«Ecco, vede, io venivo spesso qui. La sera, intendo. Anzi, la notte. In quell’angolo, la siepe lascia un po’ di spazio e si riesce a gettare un’occhiata nel giardino dei Fusco. Si vede parte del ciliegio, le aiuole a ridosso della casa, e soprattutto si vede la zona di giardino dove si affaccia la finestra della signorina Mariarosaria.»

Il carabiniere sollevò la testa.
«Lei spiava Mariarosaria?»
«No, no! La finestra della signorina, anche guardando attraverso la siepe da quell’angolo, risulta coperta dal tronco del ciliegio. No, io non spiavo la ragazza. Spiavo la sua ombra.»
«La sua ombra?»
«L’ombra che compariva sul prato quasi ogni notte. Mariarosaria si affacciava sempre dalla finestra. Persino d’inverno, quando teneva le finestre chiuse, non rinunciava a dare uno sguardo al cielo prima di di addormentarsi. Ma a partire dalla primavera poteva sporgersi e pettinarsi mentre la brezza notturna le sollevava appena i capelli…»
«E questo non è spiare?»
«Appuntato, io quella ragazza non l’ho praticamente mai vista!»
«Non sono appuntato, sono carabiniere semplice. Il mio collega, Serantoni, è appuntato. Lei vuole farmi credere che non ha mai visto la ragazza in volto?»
«Beh, sì… nel senso che a volte mi è capitato di incontrarla per strada, tornando a casa. Vede, io abito in fondo alla via, assieme a mia sorella. Conosco Mariarosaria, di vista perlomeno. Ma di notte, spiando da quell’angolo, posso solo intravederne l’ombra.»
Vincenzo annuì.
«È reato?»
«Non lo so. Non credo, – rispose il carabiniere, – in ogni caso dubito che qualcuno la denuncerà mai per una cosa del genere, quindi prosegua. Lei ha detto di aver assistito a un rapimento. Venga al punto: com’è andata?»

Aristotele si rizzò in piedi e raggiunse il centro dello stretto stradello che si allungava verso il retro della casa dei Fusco. A quel punto ruotò su se stesso e, sfoggiando un inquietante sorriso, disse:
«È volata via!»
«Volata via.» Ripeté Vincenzo, aggrottando le sopracciglia.
«L’ho visto chiaramente. Si è sollevata in aria come se stesse nuotando nell’aria… ed è scomparsa nel cielo. Inghiottita dalla notte!»
«E chi l’ha rapita? Gli alieni?» Fece il carabiniere, sarcastico, mentre già rimetteva in tasca agendina e penna.
«E che ne so. – Gli rispose Aristotele. – Mica ho visto nessuno. Ma ho sentito Mariarosaria gemere e chiamare il nome dei genitori, spaventata. Avrei voluto correre a bussare alla porta, per avvertirli di quello che stava accadendo, ma ripensandoci, in quel modo mi sarei perso quello che stava accadendo… e ho ritenuto molto più importante restare lì e osservare attentamente lo stranissimo rapimento.»
Serantoni suonò il clacson. Un colpo veloce, per richiamare l’attenzione di Borghetti. Era già in macchina, motore acceso, e avevano altre chiamate alle quali rispondere. Sarebbero tornati dai Fusco l’indomani mattina, per verificare se la figlia non fosse tornata, e rendere effettiva la denuncia di scomparsa. Borghetti fece un cenno al collega, pregandolo di attendere un attimo. Per cosa, poi? Era chiaro che questo tizio non aveva visto nulla, a parte qualche ombra confusa.
«Ascolti, – Disse, rivolto ad Aristotele. – È improbabile che la figlia dei Fusco abbia… diciamo così… preso il volo. Sicuramente la luce alle sue spalle si sarà mossa, forse lei stessa l’ha spostata, e lei ha avuto l’impressione, guardando l’ombra, che la ragazza stesse… fluttuando via.»
«No, le assicuro che è stata rapita! Qualcuno l’ha… fatta volare fuori dalla finestra!»
«E lei l’ha vista fluttuare in cielo?»
Aristotele abbassò la testa, mogio, quasi ferito dalla domanda.
«No… era una notte buia, senza luna. Il buio di ieri notte era compatto, l’oscurità l’ha avvolta velocemente, nessuno può averla vista chiaramente.»
Borghetti annuì.
«La ringrazio. Buona giornata.»
Raggiunse la gazzella e salì velocemente. Si allontanarono. Aristotele indugiò per qualche minuto nel vicolo. Lo sguardo gli cadde in basso, sul terreno, poi sulle proprie scarpe.
«Cosa sta facendo? Ha perso qualcosa?» Rombò una voce alle sue spalle. Un omone in vestaglia con il cipiglio marcato dal dolore e dall’ansia, lo squadrava affacciandosi dal portone di casa. Giampiero Fusco, il padre di Mariarosaria.
«Ho perso la mia ombra. – Rispose Aristotele. – È volata via.»

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