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Circondata solo da centinaia di migliaia di puntini luminosi, brillantini su una seta di un blu compatto e profondo, Mariarosaria sollevò le braccia e rivolse i palmi delle mani all’esterno. Lasciò che il suo cuore si calmasse, che il ritmo del suo battito rallentasse, che la smettesse di rimbombarle nelle orecchie con i suoi tonfi cadenzati. Lasciò che la paura, l’agitazione e la sorpresa iniziali le scivolassero via dal corpo. Le parve di sentirle, quelle emozioni angosciose e distraenti, mentre si staccavano da lei e si disperdevano in cielo, divenendo vapore. Ora era in pace, non c’era altro che silenzio, e la notte. Continuava a salire, sempre più in alto. Se avesse guardato in basso avrebbe visto un altro oceano di luci, più vivaci, ma meno brillanti. Le luci del suo paese, del suo quartiere, della sua via, della sua casa. Pochi minuti fa era lì, in piedi, davanti alla finestra. La luce giallognola della lampada vicino al comodino proiettava la sua ombra sul prato di fronte. Così distorta, allungata, sfumata, le sembrò di avere le parvenze di un angelo. Tanto era sinuoso e leggiadro quel profilo, quanto era tozza e sgraziata l’immagine che lo specchio della sua stanza crudelmente le rimandava, ogni volta che si fermava a fissarlo. Perché non sono fatta di ombra? Perché non aleggio appena più scura della notte sopra le tenue luci della notte, anziché gravare con il mio orribile corpo le bellissime ciabattine pelosette trovate in saldo al reparto casalinghi del Lidl? Sapeva di non trasmettere alcuna gioia né desiderio agli occhi del prossimo: gonfia, sgraziata, impacciata. Era questo che dicevano di lei, una creatura enorme e sempre triste. Infelice, sola, incapace di reagire. Invece la sua ombra, distesa con delicatezza sull’erba del cortile, quella sì che era divina. Spazzolandosi con rabbia i lunghi capelli biondicci e stopposi, finì per tirare con troppa forza un ciuffo annodato, e una lacrima di dolore le ruzzolò via da una delle palpebre. Ma la lacrima non scorse giù lungo la gota paffuta, come facevano di solito le lacrime che ogni sera le sfuggivano: stavolta si fermò nel punto più tondo e carnoso della sua guancia, quindi se ne separò levitando verso l’alto. Mariarosaria la seguì con lo sguardo, incuriosita, non ancora spaventata. Poi la sua veste di seta leggera iniziò a sollevarsi verso l’alto allo stesso modo. Si allarmò, perché sotto quella camicetta da notte semi-trasparente non portava altro. Era come se una forza invisibile volesse toglierle l’unico indumento che aveva indossato prima di andare a dormire. Le cadde la spazzola di mano, ma non toccò terra: si fermò a qualche centimetro dal pavimento, ruotando leggermente, sospesa nel nulla. Poi i suoi piedi si staccarono da terra, e si rese conto che stava fluttuando in aria proprio come un palloncino di elio. E proprio come un palloncino di elio, fu attirata fuori dalla finestra, nel cielo scuro. Chiamò a gran voce suo padre e sua madre, che già dormivano pesantemente. Sua madre indossava tappi per le orecchie, giacché suo padre era solito russare. Il respiro pesante di suo padre cancellò le grida di Mariarosaria dai ricordi del dormiveglia di entrambi. Il giorno dopo, non l’avrebbero trovata nel letto. Fu a quel punto che iniziò a capire che non c’era motivo di agitarsi, né di aver paura. Mariarosaria sollevò le braccia e rivolse i palmi delle mani all’esterno, lasciando che il suo cuore si calmasse. Saliva sempre più in alto e la temperatura si abbassava sempre di più, ogni minuto. Percepì il gelo stringerle il corpo nudo. Si strinse abbracciando se stessa. Appoggiò la nuca alle proprie ginocchia. I brividi di freddo le correvano sulla schiena come carezze, il vento le sollevava i capelli con gentilezza. Si chiese a che altezza respirare avrebbe cominciato ad essere faticoso, quand’è che avrebbe perso sensibilità alle dita, e quando sarebbe esplosa, proprio come un palloncino, volato troppo in alto. Scorse la luce del sole oltre l’orizzonte, un barlume che rischiarava la foschia più distante. Era debole, proprio come lei adesso, intirizzita dal freddo che iniziava a penetrarle nelle ossa, quasi priva di sensi per la mancanza di ossigeno. Non sentiva più le dita, le natiche, la nuca. I suoi capelli paglierini si erano ricoperti di una sottile coltre di brina. Poi tutto cambiò.

Un calore insolito la cinse e la raccolse, proprio come una mano raccoglie un frutto. Ancora stordita, sentì di essere trasportata in un luogo luminoso, umido, dalla temperatura confortevole. Riprese a respirare senza fatica, senza quella strana sensazione di avere i polmoni troppo grandi rispetto all’aria che poteva essere raccolta. Quando aprì gli occhi, vide tre omini grigi, dagli occhi affusolati, lucidi e bruni, come noccioli di nespola.
«Mi farete del male?» Domandò lei.
«No, assolutamente no.» Rispose il primo.
«Avremo cura di te.» Aggiunse il secondo.
«Sei così interessante!» Esclamò il terzo.
«Grazie.» Rispose Mariarosaria, e si abbandonò al sonno.

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