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Trovai sorprendente quanto il concetto di “futuristico” variasse in base alle proprie percezioni. In quel momento non ricordavo quasi nulla della mia vita, di chi ero e del tempo dal quale provenivo, eppure avevo sempre avuto il presentimento di aver vissuto in un’epoca storica precisa, un’epoca dove ad esempio si circolava in treno, automobile, nave o aereo. Non su astronavi. Un’epoca dove si comunicava a distanza con il telefono cellulare, o attraverso applicazioni per il proprio computer. Un’epoca dove le persone tendevano ad ammassarsi in abitazioni di cemento presso grosse metropoli, dove abbondavano lavoro e servizi, piuttosto che in campagna, in casolari tra i campi, senza wi-fi e consegna di pizza a domicilio. Questo senso di appartenenza a un’epoca precisa derivava dal fatto che sebbene non ricordassi come tutte queste cose potessero far parte della mia vita, io le identificassi come appartenenti al mio presente, familiari, consuete. Altre cose, come i telegrammi, le videocassette o le carrozze trainate da cavalli rievocavano in me un senso di passato. Pistole laser, astronavi e teletrasporto, all’opposto, mi riecheggiavano dentro come roba da storie inventate, fantascienza. Ero quindi piuttosto certo, benché la mia memoria fosse ancora immersa in una nebbia fittissima, che al momento mi trovassi in una sorta “futuro”, ovvero che mi fossi risvegliato dopo molto tempo rispetto al giorno in cui ero entrato, volontariamente o meno, dentro quell’alcova.

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A conferma di ogni mia sensazione e di ogni mio presentimento, davanti a noi tutti, in quel momento, avanzò un essere che nella mia esperienza di cosa fossero passato, presente e futuro, sarebbe sicuramente provenuto dal “futuro”. Si trattava infatti di un robot privo di gambe, che barcollava in avanti utilizzando le sue due braccia come mezzo di movimento. Il suo torso, rivestito di placche metalliche saldate con cavicchie e bulloni, custodiva un intreccio di cavi e di circuiti stampati che convergeva in alto sulla sua testa attraverso un sottile collo cilindrico. E la testa non era meno stramba del resto: tondeggiante, presentava un’allargamento discoidale all’altezza della fronte, come se portasse un sombrero. Ma non si trattava ovviamente di un cappello: era un disco metallico che faceva parte della struttura stessa della sua testa, e al di sotto di quello spuntavano due occhi tondi e una bocca composta da una semplice fessura orizzontale. L’espressione risultante per pareidolia era stupida.

Mi parve qualcosa che doveva provenire dal futuro, come dicevo, ma solo per pochi secondi. Le mie esperienze nell’ultima ora avevano completamente riscritto la mia percezione di “futuristico” e di “avveniristico” e alla luce di tutto quello che avevo visto finora in quella stanza, compresa la creatura che avevamo appena affrontato, questo nuovo essere si avvicinava più alla mia idea di un rottame malandato, assemblato con vecchi pezzi di ricambio. Insomma era tecnologia obsoleta, giudicandola in base all’epoca nella quale mi ero risvegliato.

«Salve.» Disse. Le parole erano scandite perfettamente con un bel timbro caldo e rassicurante. Si capiva che si trattava di una voce sintetica, ma non era fredda e monocorde come quella riprodotta dal traduttore di Ris, tantomeno era gracchiante e rauca come quella che emetteva la patata gigante metallica. Rimanemmo tutti in silenzio.

«Non abbiate paura. Non vi sono ostile.»

Non mi fidavo affatto. Chiesi a Veronica di tenerlo sotto mira. ➤ 15

Mi fidai di lui. Chiesi a Veronica di abbassare l’arma. ➤ 49

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