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Il vano alla sinistra di quello che mi aveva sputato fuori dall’oblio era ancora saldamente chiuso. Sullo sportello metallico, all’altezza dei miei occhi, c’erano una fila di caratteri di una lingua che non riuscivo a comprendere. Passai il dito sui simboli, lo feci senza pensarci. Qualcosa accadde, perché percepii una scarica elettrica solleticarmi il polpastrello e subito dopo mi ritrovai circondato da bizzarri rumori distanti, schiocchi e rintocchi che rimbombavano grevi all’interno della grande stanza vuota. Dei meccanismi si erano attivati all’interno delle pareti. Indietreggiai per istintiva precauzione e pochi secondi dopo, con uno scatto, lo sportello si aprì. Una nube di vapore azzurro si disperse nell’aria, divenendo quasi istantaneamente invisibile agli occhi, quindi un corpo cadde in avanti, cozzando con il pavimento. Emise un lamento, poi iniziò a tremare. Egoisticamente mi chiesi se osservando il modo in cui reagiva quella persona estranea, senza intervenire per aiutarla, sarei riuscito a capire meglio quello che era accaduto anche a me, qualche minuto prima. Ma una scossa nel basso ventre mi fece vergognare per quel pensiero, quindi mi chinai sul nuovo arrivato cercando di assisterlo in qualche modo.

– Ehi! Va tutto bene… sei vivo… – Sussurrai, non volendo trasmettergli ansia. Voltandolo verso di me mi accorsi che si trattava di una ragazza. Doveva avere più o meno la mia età. I lineamenti erano vagamente asiatici, i capelli neri erano malamente sistemati in una pettinatura a caschetto. Stringeva le braccia al petto, come se avesse freddo. Ricordai di aver provato freddo anche io, e anche di non riuscire a vedere nulla per diversi minuti.

– La vista ti tornerà fra poco. Ti è stata appena iniettata una bella dose di adrenalina… o di qualcosa di simile. Almeno credo.

Il suo volto si rasserenò lentamente. Le sue iridi, come velate da una cataratta lattiginosa, si schiarirono rapidamente. Le asciugai il liquido blu che le colava dal naso e dalla bocca usando il bavero della mia camicia sintetica, quindi la aiutai a mettersi seduta.

– Concentrati, – le suggerii, – se imponi al tuo corpo di riprendere il controllo, lui eseguirà l’ordine. Con me, perlomeno, ha funzionato.

– Tu chi sei? – Chiese.

– Non lo so, – risposi onestamente – non ne ho idea. Poco fa ero rinchiuso in quella specie di scatola di metallo, come te. Mi sono risvegliato sul pavimento. Ogni mio ricordo è annebbiato. Ma la sensazione che provo è strana… è come se… i ricordi ci fossero, ma fossero dispersi nella mia mente, frammentati, e i frammenti troppo distanti per potersi riunire in qualcosa di chiaro.

Annuì, lentamente ma con decisione. Era evidente che anche lei provava la stessa cosa, anche lei ricordava poco o nulla di chi fosse e di come fosse arrivata lì. Si guardò attorno, ma non trovò nulla di familiare nell’ambiente che la circondava. Infine si voltò verso la parete degli armadietti, il punto di partenza della sua nuova storia.

– Sì, siamo usciti da lì. – Le confermai. – Eravamo… inscatolati lì dentro. Non so da quanto tempo. Comunque non c’è nulla lì dentro che possa aiutarci a capire chi siamo.

Lei si sollevò la manica della camicia sul braccio sinistro. C’erano dei simboli tatuati poco sopra il suo polso, caratteri che non conoscevo, di inchiostro argentato. La imitai, sollevando a mia volta la manica della camicia e scoprendo i simboli sul mio braccio. Avvicinai quindi il braccio per confrontare i simboli. Erano diversi.

– Risolutore… due. – Disse lei, con un filo di voce.

– Come?

– Risolutore due. Il mio dice invece: riserva… emergenza… uno.

Non capivo per quale assurdo motivo quella ragazza riuscisse a leggere i caratteri di quella strana lingua, ma non sembrava che stesse mentendo.

Avrebbe potuto decifrare le scritte sugli sportelli, quindi. ➤ 8

Pensai che sarebbe stata una buona idea farla avvicinare alla parete a specchio, affinché potesse guardarsi meglio in volto. ➤ 48

Restai in silenzio vicino a lei, attendendo che si riprendesse completamente. ➤ 17

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