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Nel momento in cui avvertii quel freddo tentacolo metallico scivolarmi vicino alla faccia e stringermi, una scarica di adrenalina si impossessò del mio corpo. Per una frazione di secondo il dolore lancinante al braccio, la paura di essere spezzato in due, il terrore per la fine che avrebbe potuto fare Veronica scomparvero. Strinsi gli occhi fino a vedere solo il buio e il mio stesso sangue, poi spinsi il pugno ancora più in profondità. Mi ritrovai a stringere il fucile, le mie dita lo afferrarono e in un secondo trovai l’impugnatura e il punto che bisognava premere per fare fuoco. Lo schiacciai. Luce. Persi i sensi.

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Quando ripresi conoscenza, la mia faccia era schiacciata sul pavimento e la mia testa era coperta da una pesante lastra di metallo che doveva appartenere al globuroide. La scostai. Notai subito altri pezzi del mostro sparsi qua e là per tutto il corridoio. Evidentemente la sua pellaccia non era così dura, all’interno.

Dolorante, mi sollevai a sedere. La testa girava ancora, l’orecchio destro fischiava, il mio braccio era coperto di sangue fino al gomito, quasi scorticato, e bruciava da morire. Ma l’abbraccio di Veronica mi fece dimenticare ogni agonia. Mi gettò le braccia al collo, mi baciò il volto e poi in bocca, profondamente. Percepivo la sua voce ed ero consapevole che stesse parlando, ma ero ancora troppo confuso per capire cosa stesse dicendo. Le sue parole mi entravano in testa come una litania confusa, non riuscivo a distinguerle, a staccarle l’una dall’altra. Si era mossa velocemente attorno al mio corpo, sembrava sollevata che fossi ancora tutto intero. Mi abbracciò di nuovo. Mi baciò di nuovo. Compresi le parole “ti amo” e “sei un coglione”. Non ricordo in che ordine. Quindi si allontanò, ma non prima di avermi rassicurato che non si sarebbe allontanata troppo.

Restai qualche secondo lì, immobile, fissandomi le scarpe, intontito e in gran parte ancora assordato. Quando Veronica tornò da me, la mia testa si era schiarita abbastanza da capire cosa stesse dicendo. O almeno un po’ più chiaramente.

«Non trovo i fucile. Forse è esploso assieme alla creatura. Non ne ho idea, ma qui non c’è.»

«Non importa.» Sussurrai. Ma non sono sicuro che le parole che dissi fossero esattamente quelle. Ad ogni modo Veronica mi aiutò ad alzarmi. Nel frattempo, la tuta di tessuto strano che indossavo si allungò attorno al mio braccio martoriato ricoprendolo di nuovo completamente. Sentivo ancora dolore, ma in qualche modo mi parve che la ferita fosse al sicuro, e non me ne preoccupai più.

«Andiamo.» Mi disse, aiutandomi a camminare.


Le sussurrai che la amavo anche io. [È necessario che non ci sia già un disegnato vicino al ritratto di Veronica, sulla sua Scheda del Personaggio.] ➤ 86

Tornammo nella stanza dei cavi. ➤ 145

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