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– Chi siete? Cosa volete da me? Chi siete? Cosa volete?

La ragazza dai capelli color rame non aveva ancora riacquistato la vista, né il pieno controllo dei movimenti. Puntando a terra i talloni si stava spingendo indietro, forse percependo che alle sue spalle ci fosse un muro, o forse semplicemente per allontanarsi da Emi. Agitava le mani in aria per garantirsi che nessuno si avvicinasse, e continuava a ripetere le stesse parole, in preda al panico più elementare.

Raccolsi tutto il mio autocontrollo. Non potevo lasciarmi sopraffare dall’istinto o avrei finito per farle male, nel tentativo di renderla inoffensiva. Mi piazzai proprio di fronte a lei, con le mani protese in avanti e lasciai che le sue incontrassero le mie, smettendo così di agitarsi freneticamente.

– Nessuno vuole farti del male. Non spaventarti, posso spiegarti tutto… o meglio, posso spiegarti quel che so.

Dissi, con timbro chiaro e ad alta voce. Strinse le mie dita tra le sue e la sua voce si affievolì fino a divenire quasi uno squittio.

– Chi siete? Cosa volete da me?

– Se ti calmi, la vista le tornerà più velocemente e le orecchie smetteranno di ronzarle. Concentrati sul battito del tuo cuore, o sul tuo respiro. Vedrai che si sentirai subito meglio.

Lentamente mi tirò verso di sé. Mi dovetti inginocchiare. Continuava a fissarmi, mentre l’immagine del mio volto le diveniva gradualmente più nitida.

– Grazie. – Sussurrò.

Le sorrisi. Poi mi rivolsi a Emi.

– Emi, pensa tu al ragazzo. Fai come ho fatto io con lei.

Emi si scostò dal muro contro il quale si era appiattita, e si diresse verso l’ultimo arrivato. Si sedette di fianco a lui e iniziò a parlargli lentamente. Mi parve in grado di gestire la situazione, quindi tornai a rivolgermi alla ragazza che avevo di fronte, che non aveva ancora smesso nemmeno per un attimo di stringermi le mani.

– Ricordi qualcosa di te, della tua vita, o di come sei finita qui? – Le chiesi.

– No. Niente. – Mi rispose, senza pensarci troppo.

– Anche per noi è così. I nostri ricordi sono confusi, ma io credo che siano ancora al loro posto. La memoria ci si schiarirà pian piano, come è stato per la nostra vista e per l’udito.

– Chi sei?

– Chiamami Due. Ancora non ricordo il mio nome.

Le indicai il tatuaggio sotto il lembo della mia camicia, e lei lo lesse ad alta voce.

– “Risolutore due.” Cosa significa?

– Eh. – Commentai con ironia. – Significa che a quanto pare sono l’unico che non ricorda come si legge! Per me è solo una strana sequenza di simboli…

– Non è strana… – Aggiunse. – È la mia lingua… io riesco a leggerla facilmente.

– Allora forse tornerà in mente anche a me, più avanti.

Si guardò attorno con timore, spaesata come era giusto che fosse. Cercai di non perdere il contatto con lei. Le scossi le mani con una piccola stretta gentile, attirando la sua attenzione, e le dissi:

– Emi, quella ragazza laggiù, mi ha detto che sul tuo tatuaggio c’è scritto “risolutore uno”. Quindi potrei chiamarti Uno. Ti sta bene, come nome provvisorio?

– Mi chiamo Veronica.

– Ehi… aspetta… ricordi il tuo nome?

– Sì… – Disse lei, fissandomi in maniera insolita. – Ma non ricordo molto altro.

– È già più di quello che ricordo io.

Lasciò una delle mie mani e mi accarezzò il volto. Il palmo della sua mano era meravigliosamente caldo, le sue dita morbide. Mi sentii un po’ a disagio. Veronica continuava a fissarmi con uno sguardo perso, come se di tutto quello che aveva attorno riconoscesse solo me, e in quel momento le stessero passando per la testa mille pensieri aggrovigliati uno nell’altro.

– Ricordo anche il tuo volto. In qualche modo… mi è familiare.

– Anche io ho provato sensazioni strane, da quando mi sono ritrovato qui Credo che il nostro sistema nervoso si stia lentamente risvegliando da un torpore prolungato, e che quindi ci giochi strani scherzi. Senza tener conto degli scompensi chimici…

Erano solo teorie, me ne resi conto benissimo, tuttavia ero abbastanza certo che in quel momento ostentare sicurezza potesse far bene a Veronica, così come agli altri.

– Io… credo di amarti. – Disse. 

Scossi la testa. Forse avevo sentito male.

– Due! – Emi mi stava chiamando dall’altra parte della stanza. Era ancora seduta vicino al ragazzo, che la fissava in modo strano. Qualcosa non andava.

– Che… che succede? – Le chiesi. Le parole quasi mi si strozzarono in gola. L’ultima frase sussurrata da Veronica mi aveva colpito più del previsto.

– Non parla la nostra lingua. – Disse Emi.


Diminuisci il valore di Controllo di 1 punto.

Se il Controllo dovesse arrivare a zero (o meno) ➤ 61.


Pensai che non fosse il caso di interrompere la conversazione con Veronica, quindi chiesi a Emi di sbrigarsela da sola. ➤ 55

Mi alzai e andai ad aiutare Emi. ➤ 42

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